Pissa, la sette menne

Una donna piena di gioia e di vita

Pissa, la “sette menne”

(Pissa, dal grande seno)

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!…

Chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza.

di Emilio Rubino

Fra i personaggi minori della mia tanto amata Nardò non posso dimenticare uno, esattamente quello di una donna molto procace ed eccitante, che già in età adolescenziale, si impose all’attenzione e agli occhi strabuzzanti e vogliosi dei neritini per le sue eccezionali caratteristiche fisiche e per il suo modo di camminare provocante e sensuale. Anche le donne non smettevano mai di osservarla, magari con una punta d’invidia, per questo suo modo di essere e di proporsi agli altri.

Già all’età di 12-13 anni ebbe a mostrare, forse innocentemente, i primi segni di una precoce ed accentuata femminilità.

Era “il tempo delle mele”, dei primi innamoramenti e dei primi sogni giovanili, che l’ammaliavano di continuo e la facevano vivere in castelli dorati tra tanti prìncipi azzurri.

Bella ed eccitante com’era, si crogiolava sotto le tante lusinghe e le belle parole a lei rivolte dai maschi d’ogni età, desiderosi di possederla.

Pissa sette menne

Ma Pissa non era soltanto “tutta seno”. Nient’affatto. Possedeva un viso radioso e due occhi azzurri come il mare cristallino di Porto Selvaggio, le labbra fortemente pronunciate, che sembravano essere state invase da una buona dose di silicone, un didietro esuberante per la sua età. Quello che però spingeva il maschio a fare sogni ad occhi aperti era l’andamento sinuoso e ondeggiante, in parte voluto dalla ragazza, e soprattutto il seno turgido e prorompente che sembrava sobbalzare ad ogni suo passo. D’estate, in modo particolare, Pissa raccoglieva la massima attenzione da parte dei maschi che incontrava per strada, i quali, concentrando lo sguardo su di lei, spesse volte inciampavano su un marciapiede oppure sbattevano la testa contro un palo di energia elettrica o contro un albero. Non mancavano lazzi e frizzi d’ogni genere a lei rivolti con voce vogliosa, come ad esempio: “Figghia mia, cce porti ‘n piettu?!”, oppure “Cce tt’ha datu cu mangi ‘ddhra mamma tua!”, o anche “Jata a cci te ‘nzura!(1).

E lei si beava in continuazione per le numerose attestazioni di affetto dei tanti ammiratori, che stravedevano per lei.

Insomma Fissa era già una prima star cittadina all’età adolescenziale, figuriamoci da donna!

Consapevole del proprio fascino, Fissa respingeva all’età di 16-17 anni ogni approccio amoroso con i giovani suoi coetanei, mentre accoglieva con invitante soddisfazione le dolci parole, i complimenti abbottonati e le ambigue insinuazioni delle persone sui trenta-quarant’anni che di sovente le indirizzavano. Tutto questo perché negli uomini maturi percepiva maggiore sicurezza, protezione e saggezza.

A vent’anni,  Pissa, non potendo trattenere il fuoco infernale che le serpeggiava in corpo e che pretendeva amplessi amorosi, cominciò inizialmente a sorridere ai vari ammiccamenti  e richiami maschili, per poi rispondere con brevi parole ai saluti invitanti e sensuali di professionisti dell’epoca, che, con fare gentile, la invitavano a prendere un caffè insieme. Lei non si concedeva immediatamente, ma lasciava capire, inscenando qualche tentennamento, che in un secondo momento avrebbe di certo accettato l’invito.

Alla madre raccontava ogni cosa e da lei in cambio riceveva buoni consigli.

Statte ‘ttenta, fìgghia mia, ca l’ommu è cacciatore pe’ natura. Pìgghiate lu meju ti Nardò, quiddhru ca tene sordi e case. Ti ‘stu modu teni la vita ‘ssicurata. Pocu ‘mporta se ete brutticeddhru.”2.

Il fuoco che aveva in corpo la indusse a dimenticare il consiglio della madre, cosicché Pissa non tardò a cedere, spinta da un irrefrenabile desiderio d’amore, alle continue profferte di un bell’uomo, professionista serio ma sposato e con numerosi figli, del quale si era perdutamente invaghita e al quale offrì il suo corpo vellutato e vergine per far sfogare il vulcano che la travolgeva interiormente. Frequentò diverse volte l’uomo ed ebbe modo di tacitare le continue pulsioni d’amore. Ma la storia, ovviamente, dopo poco tempo ebbe un improvviso epilogo, in quanto la moglie del suo amoroso, conosciuta la tresca tra i due, la invitò tramite terza persona a lasciarlo stare, pena gravi conseguenze. Questa fu la prima intensa esperienza d’amore, che la fece sentire pienamente donna.

Pissa rimase male, ma dovette giocoforza abbandonare i sogni d’amore, anche perché il suo amante, in cambio, le aveva regalato una buona somma di denaro per chiudere bonariamente ogni cosa.

Ben presto il fuoco tornò ad infiammarla con la stessa veemenza d’un tempo. La donna tornò a farsi vedere per le strade del centro e ad ammiccare ad ogni gentile invito. Conobbe un altro bell’uomo molto danaroso, con il quale iniziò una nuova avventura. In cambio la donna si faceva offrire del denaro per ingioiellarsi, vestire elegantemente e pagare le salate fatture di un centro estetico in quel di Lecce.

Anche questa storia giunse al termine, ma sempre dietro congrua… buonuscita.

Negli anni conobbe tante e tante altre fugaci esperienze con uomini importanti, ai quali, mai sazia, si abbandonava in ogni senso, godendo intensamente e donando il suo corpo di donna ormai matura. Spesso i suoi amanti finivano per trovare ristoro e riposo tra le calde balze del suo immenso seno.

Ormai pienamente matura e un po’ su con gli anni accettò anche gli inviti di giovani vogliosi di sprigionare tutta la loro freschezza sessuale. E si ritrovò ad essere giovane come loro e a reagire con il suo corpo allo stesso ritmo d’un tempo, quando faceva sobbalzare l’amante di turno sul letto.

Ora la fama di Pissa aveva varcato le mura cittadine ed era denominata da tutti con il nomignolo di Pissa “dalle sette menne”, cioè Pissa dai sette seni, a giustificazione dell’enormità del petto.

Per completare questa piccola ma significativa biografia, va aggiunto che Pissa ebbe anche una figlia, nata da un “imprevisto incidente amoroso”. La ragazza fu cresciuta a sua immagine e somiglianza. Alta, aitante, slanciata, dagli occhi azzurri, dalle labbra e dal seno prominenti come quelli materni. Anche Pissetta crebbe esattamente come mamma Pissa. Conobbe già da giovane molti uomini, ai quali si legò morbosamente, ma, come sua madre, tutti questi fuochi di passione pian piano si spensero. Trascorse la sua vita tra tanti alti e bassi. Visse i suoi ultimi anni, ormai vecchia decrepita, tra l’indigenza più completa in una stamberga del centro storico della città, ma, come sua madre, si sentiva appagata di aver vissuto nella totale pienezza e spensieratezza la propria gioventù.

Morale della favola. Pissa e Pissetta sono state considerate “venditrici d’amore”, ma almeno hanno totalmente soddisfatto i loro desideri più intimi. Ci sono, invece, tante giovani donne, magari belle, che hanno trascorso la loro giovinezza ad aspettare invano che un bel principe azzurro le rapisca il cuore.

Vale pienamente il detto di oraziana memoria “Carpe diem, quam minimum credula postero”, cioè Cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani”.