Aborto e scomunica nell’antichità

Aborto e scomunica nell’antichità

di Emilio Rubino

Gli amori furtivi e quelli proibiti non sono un’invenzione dei tempi moderni, anzi. Oggi di “furtivo” e di “proibito” non v’è più bisogno di parlare, essendo quasi tutto lecito. D’altra parte la TV docet. Essa insegna tante cose, la maggior parte non buone, anzi cattive assai, e ce le inculca pian piano, silenziosamente, ogni sera, ogni mattina, o meglio in ogni istante della giornata, come un dolce veleno che adulti e bambini sorbiscono continuamente. Ci sono alcuni programmi televisivi (pochi in verità) che educano, costruiscono, formano il cittadino e lo guidano verso una vita migliore, altri, invece, (purtroppo i tanti) che diseducano, abbrutiscono, distruggono, creano danni irreparabili, mortificano, annientano la traballante ed incerta figura dell’uomo d’oggi, soprattutto quella dei ragazzi.

Che dire poi degli aspetti legati all’amore, agli affetti di coppia, al sesso? Tutto è permesso, tutto viene raccontato con una naturalezza e con un linguaggio scurrile, al pari di un semplice fatto di cronaca, tutto è proiettato con una libertà sconcertante, in barba ad ogni regola di etica e buon senso. Tutti i mezzi d’informazione, ahinoi, sia televisivi, radiofonici (forse un po’ meno) e della carta stampata sgomitano e s’azzuffano per chi pubblica i fatti e le immagini più osé.

La famiglia, purtroppo, ha retto finché ha potuto, poi, investita da cotanto sudiciume sociale, è stata trascinata in un vortice impetuoso di immoralità, dal quale è uscita contaminata e sconfitta.

Non datemi del “falso moralista” o del “bacchettone”; d’altra parte per me parlano i numerosi fatti eclatanti di corruzione, di licenziosità, di depravazione, di lussuria che investono i nostri parlamentari e governanti.

Anche i rapporti di coppia, come logica conseguenza, sono stati aggrediti dall’ondata di malcostume. Tutto, perciò, è diventato lecito: l’amore incontrollato, i baci lascivi, il sesso proibito, scandaloso e violento. Chiunque, infatti, (anche un ragazzino/a di dieci anni) può, servendosi di internet, accedere a programmi pornografici con estrema facilità.

La ragazza alla quale piace un uomo, attempato e magari con moglie e figli, non troverà alcun ostacolo a mettersi con lui, anzi, sarà meglio perché la sua relazione rimarrà “corazzata”. E quand’anche qualcosa dovesse andar male, tutto finirà senza drammi. La vita continuerà ancora: lui e lei troveranno altri amori, conosceranno altre passioni.

E se poi ci scappa una gravidanza inopportuna? Non c’è alcun problema: ci si rivolgerà ad un ginecologo che, dietro “lauta mancia” e nel segreto del suo ambulatorio, provvederà a far abortire la ragazza in quattro e quattr’otto. La vita continuerà ancora, ma con maggiore perversione.

Nel passato, poi non tanto remoto, gli amori “proibiti” erano più “furtivi”, poiché la morale era diversa, ma non perché la carne non avesse gli stessi stimoli e gli stessi ardori. A quei tempi vi era più timore delle conseguenze, delle dicerie, dei pettegolezzi della gente. C’era più purezza o, se volete, più santità nei costumi (o più ipocrisia?). E laddove al posto della riservatezza vi fosse più spregiudicatezza, si faceva tutto di nascosto, o quasi.

Avere un’amante, allora, era cosa disdicevole. E se una donna non sposata era messa in cinta, apriti cielo! Una tal donna, una volta scoperto che nel ventre nascondeva il frutto di un amore illecito, era fatta oggetto a commenti molto salaci, a maldicenze, a “malanghi” del vicinato. In casa, poi, era ingiuriata, umiliata, maltrattata, malmenata e, a volte, percossa ferocemente ed isolata quasi fosse una lebbrosa. La ragazza diventava la “vergogna” della famiglia e, per la grave colpa commessa, doveva soffrire ogni umiliazione, dispetto, vessazione e rinuncia, che le rendevano impossibile la vita per sempre. Non era raro il caso in cui la ragazza era costretta ad andar via di casa e a stabilirsi in un altro paese presso un orfanotrofio, presso parenti o, addirittura, a fare la serva. Insomma, da quel giorno la ragazza era “marchiata e perduta” dalla sua stessa famiglia e dal Comune di residenza.

Era anche antica usanza, quando l’uomo autore del fatto non rimediava al “male” arrecato col conseguente matrimonio riparatore, di vendicarsi contro colui che aveva “abusato” della debolezza della donna, lasciandogli sul corpo (possibilmente sul viso) un segno indelebile della sua vigliaccheria, in modo che tutto il paese, che ogni donna si guardasse da costui e, perciò, restasse scapolo. La vendetta consisteva nello sfregiare il colpevole con una “rasulata” al viso. Sono rimasti eclatanti i fatti accaduti anni or sono a Galatone e a Nardò. La ragazza galatonese, poi arrestata dai carabinieri, ebbe a recidere con una lametta da barba la parte più bella e più colpevole dell’uomo, mentre quella di Nardò affibbiò al suo fidanzato un morso di inaudita violenza che procurò danni notevoli al apparato riproduttore dell’uomo. Incautamente i due maschi, sicuri di poterne ancora abusare, avevano accettato un altro incontro amoroso che, purtroppo per loro, fu fatale.

A quei tempi era quasi impossibile prevenire da parte della donna una gravidanza indesiderata. Non esistevano delle valide tecniche abortive, né tanto meno la pillola “del giorno dopo”, per cui erano usati dei metodi empirici di dubbia efficacia, come certi infusi casalinghi, spesso assai dannosi per la salute della donna.

La Chiesa, così come oggi, si opponeva all’uso di intrugli sia per prevenire sia per contrastare un’inattesa maternità ed era poco tenera nei confronti di chi osasse procurarsi artificialmente l’aborto ed anche la sterilità.

A tal proposito, il Sinodo Diocesano, indetto dal 12° vescovo di Nardò, Giovanni Battista Acquaviva, e celebrato il 6 gennaio 1564, al capitolo 7 stabilisce espressamente: “Item excomunica lo ditto Episcopo tutti quellie quelle persone chi per causa de luxuria o per altro odio desse alcuna cosa o bevere o ad mangiare alcuno homo overo femina che non potesse concepere overo generare filioli et tutti quelli chi in tale caso desse consiglio o favore”.

Partecipo consorso Hassemblad 1998

Insomma, contro chi volesse la sterilità, la Chiesa comminava il massimo delle pene e cioè la scomunica. Lo stesso anatema era serbato contro chi, per le suddette circostanze o perché volesse evitare un numero eccessivo di figli (c’era il caso, non raro, di donne che avevano avuto una quindicina di parti), abortisse o procurasse l’aborto. Infatti, il successivo capitolo 7 del predetto Sinodo così stabilisce: “Item excomunica lo ditto Episcopo tutti quelli personi chi procurassero fare guastare le femine quando sono prene che lo parto non venga ad perfectione commettendo omicidio: et tutti chi sopra a tale fatto darà consiglio o favore”.

Oggi, nonostante il trascorrere dei secoli, la dottrina della Chiesa resta immutata ed ancorata ai principi di quel lontano ed oscuro passato. Essa non tiene conto dei progressi raggiunti dalla scienza e che l’uomo può e deve utilizzare per frenare un’esplosione demografica incontrollata e preoccupante, dalla quale sono generate miseria, fame, sottocultura, sfruttamento e morte.

Va però anche detto che la Legge 194, a distanza di tanti anni, non ha più linee guida, non risponde, né può rispondere, pienamente alle mutate esigenze della società attuale. Pertanto va rivisitata e completata. Una considerazione va fatta: per ridurre gli aborti, serve molta informazione, un’educazione mirata e continua (soprattutto a livello scolastico) e l’uso di contraccettivi… checché ne pensi e ne dica la Chiesa!