La banda

Nardò può fregiarsi di aver avuto una banda musicale di risonanza internazionale denominata “Banda Verde”, chiamata in tal modo forse per contraddistinguerla da quella “Rossa” di San Severo di Puglia.
A dir la verità, pare che a Nardò ci fosse anche un’altrabanda, di minor prestigio, denominata “Rossa”, per riferirsi evidentemente a quella foggiana. Ma non si hanno prove della sua esistenza, se non dicerie nate dalla fantasia del popolino.
Oltre a questa celebre banda musicale, vi era una seconda che era costituita da soli cinque musicanti, direttore compreso. Più che una banda era da considerarsi un semplice complessino che operava unicamente in ambito cittadino, senza mai avventurarsi in altri paesi del circondario, soprattutto
per mancanza di mezzi di trasporto. Questa piccola e simpatica banda operava in diverse zone della
città e per diversi scopi. Inizialmente fu chiamata “banda dei cinque”, proprio perché costituita da
cinque membri, in seguito fu chiamata con il simpatico epiteto “la banda ti li sùrici”. Questa denominazione fu inventata a bella posta dallo stesso direttore, Gregorio Ingusci, cieco dalla nascita. Ad un prete che gli chiedeva perché mai avesse scelto questa strana denominazione, lui rispondeva testualmente: “Visto che la banda principale si esibisce quasi sempre fuori Nardò, noi possiamo suonare in tutta tranquillità nella nostra città”.
Il sacerdote gli ribatté: “Sì, va bene, ma non capisco perché avete scomodato i ‘sùrici?”.
Gregorio gli rispose che “quando il gatto manca in una casa, i topi ballano, cantano e suonano. In mancanza della banda maggiore, noi ci mettiamo a strimpellare e a deliziare con la nostra musica i neritini”.
Ed aveva piena ragione il simpatico Gregorio, la cui banda, rispetto all’altra, era più gradita a Nardò, soprattutto da parte del popolino. Nell’Ottocento, infatti, la musica andava per la maggiore in tutte le città, anche in quelle piccole.
Perciò non mancava occasione in cui non si ricorresse alla banda musicale del paese per rallegrare i cittadini.
Mentre la Banda Verde era chiamata in occasione delle grandi feste, come quella di San Gregorio, dei Santi Medici, di Natale e Pasqua, per le feste spicciole, quelle rionali ad esempio, si contattava la banda ti li sùrici.

Questo complessino era formato da un trombettista (il direttore), da un suonatore di grancassa, da un piattista, da un tamburellista e da un flicorno contralto. Era una banda che non conosceva mai riposo perché era chiamata in occasione di matrimoni, di compleanni, di fidanzamenti, di onomastici, della prima comunione, della cresima, di un battesimo, di una laurea e perfino per accompagnare i defunti al cimitero. Il loro successo era dovuto anche al fatto che il compenso richiesto per le loro prestazioni era sostenibile da qualsiasi persona. Insomma i cinque si accontentavano di poco e, quand’anche
il richiedente non avesse avuto la possibilità di pagare in denaro, pagava in natura, magari fornendo ad ogni membro un buon chilo di legumi, oppure di patate, o anche del vino o del grano. Il gruppo musicale era tanto richiesto che quasi quotidianamente era impegnato in qualcosa di importante.
Come già detto, il direttore Ingusci era purtroppo cieco dalla nascita, ma sapeva sempre escogitare il modo (infallibile) per farsi capire dagli altri quattro durante l’esecuzione di un pezzo musicale.
Gregorio Ingusci era un uomo dalla corporatura bassa e tozza. Nascondeva, dietro un paio di occhiali scuri e sgangherati, un viso grassottello e rotondeggiante, che diventava goffo e violaceo quando era chiamato ad uno sforzo supremo nel suonare la sua tromba. Sembrava un antesignano di Louis Armstrong nel momento del massimo rigonfiamento facciale. Gli occhiali li utilizzava non tanto per
vedere, ma per non mostrare i suoi occhi completamente bianchi, che gli conferivano un aspetto spettrale. Anche il suo modo di camminare lasciava alquanto a desiderare per via delle gambe fortemente arcuate da somigliare a un cavallerizzo. Il maestro Gregorio, pur essendo cieco ed arcuato nella postura, pur suonando la tromba, era costretto a indicare ai quattro musicanti i tempi e le singole parti a ciascuno dei bandisti. Il tutto lo faceva in un modo molto originale.
Considerato che aveva le braccia impegnate a suonare la tromba, egli si serviva della gamba destra per dare gli opportuni comandi. L’inizio e la fine del pezzo musicale era scandito da un colpo piuttosto forte dato col piede destro per terra. Quando doveva intervenire la grancassa, il segnale
era costituito da un colpo dato con il tacco della scarpa; quando, invece, doveva intervenire il ‘piattista’, il maestro batteva per terra con la punta della scarpa, mentre per il tamburellista dava dei piccoli e veloci colpettini per terra. Per interagire con il suonatore di flicorno sollevava la gamba destra per qualche istante. I risultati ottenuti erano sempre pienamente assicurati.
La “Banda ti li sùrici” era un elemento caratteristico della vita paesana di quell’epoca, in linea con le condizioni socio-economiche della città, le cui famiglie versavano in condizioni alquanto misere, mentre pochi erano i nuclei familiari che godevano di una vita agiata.
Ovviamente erano le famiglie povere a contattare la banda di Gregorio Ingusci, proprio perché il compenso richiesto era sempre misero come le loro condizioni economiche.
I nobili e i grossi proprietari del paese non si rivolgevano mica a quella banda di poveri sprovveduti, bensì alla banda che andava per la maggiore in paese e, qualora questa fosse impegnata in altri eventi, si rivolgevano ad una di Lecce.
L’aspetto più bello e folcloristico si aveva in occasione delle festicciole rionali (ve n’erano tante a Nardò), durante le quali il gruppo dei cinque era chiamato a suonare sino a notte fonda tra tanti balli, canti, abbracci, brindisi e alcuni amori che sbocciavano come per incanto.
Verso la fine dello spettacolo musicale, Gregorio ringraziava i compagni e rivolgeva alla numerosa folla gli auguri più fervidi per la loro vita e per un buon raccolto in campagna. In chiusura, al complessino, stremato per l’eccessivo lavoro, veniva tributato un caloroso applauso ed un invito a bere qualche bicchiere di buon vino. Prima del definito commiato, il responsabile della festicciola passava tra gli intervenuti a raccogliere qualche soldo da dare ai bandisti, i quali, ricevuto il compenso, si lasciavano andare a qualche pezzo musicale paesano, come ad esempio:
Ci ti l’ha dittu cu chianti lu tabbaccu” (Chi ti ha detto di piantare il tabacco), oppure “Cummare haggiu persu la iaddina” (Comare ho perso la gallina), ovvero “La pigghiai sotta alla igna” (La presi sotto la vigna), o anche “Alli femmine di don Michelinu” (Alle donne di don Michelino).
Riposti gli strumenti, spente le voci e le poche luci, ognuno se ne tornava alla propria casa, pensando al duro lavoro che, da lì a poche ore, incombeva inclemente su tutta la famiglia.
Alla morte di Gregorio Ingusci tutta la città lo pianse.
Stando al racconto tramandato dal popolino, al suo funerale ci fu una folla di oltre duemila persone.
I quattro musicanti rimasti fecero di tutto per trovare un altro Maestro, ma invano, perché i sostituti, dettando i tempi e gli attacchi secondo le tradizionali regole musicali, non riuscivano a farli comprendere ai quattro bandisti. A loro mancava tanto il colpo di tacco o di punta oppure la gamba alzata del M° Gregorio, utili suggerimenti a far partire… la musica a quella sgangherata ma originale “Banda ti li sùrici”. ●