MAX HAMLET SAUVAGE

Un artista originalissimo, uno dei più eclettici, bizzarri e interessanti di Terra d’Otranto, esponente di un neosurrealismo metafisico che ha fatto interessare di lui moltissimi critici d’arte che si sono accostati al suo universo simbolico così metaforico e sfaccettato. Parliamo di Max Hamlet Sauvage, artista originario di Gallipoli, che oggi vive a Tuglie, e che nello scorso mese di novembre 2018 ha donato al Museo Pinacoteca “Enrico Giannelli” di Parabita, sito nel Palazzo Ferrari, una dotazione di 84 sculture e 50 disegni.  “Sculture biomorfiche- dall’idea all’anima della forma (opere inedite disegni e sculture- anni ’75-85)”, è il titolo della donazione permanente. L’arte di Max Hamlet Sauvage nasce dall’incontro con tre correnti espressive che hanno segnato il Novecento artistico: la Pop Art americana, legata nell’immaginario collettivo alla figura del grande Andy Warhol, il Surrealismo, movimento francese i cui dettami sono stati definiti da Andrè Breton nei suoi celebri manifesti, e la pittura metafisica italiana di Giorgio De Chirico e Alberto Savinio. Su questa triplice fonte di ispirazione si innestano le figurazioni espressive di Max Hamlet.

Soffermandoci sui connotati del suo universo artistico, prima di tutto, cogliamo l’elemento fumettistico, cioè il colore, un colore forte, deciso, intenso. Le rappresentazioni fumettistiche sono cariche di una enorme valenza semiologica. Vi è dunque l’incontro del fumetto con la pittura, in quella che è stata definita dal critico Giorgio Di Genova “fumettura”(1986). Poi vi è l’elemento favolistico, che affonda le radici nei classici greci e latini, pensiamo ad Esopo e a Fedro, alle loro favole con protagonisti gli animali, ma anche a La Fontaine, nel Seicento. E il fabula docet, ossia l’elemento pedagogico tipico della favolistica, ci potrebbe far pensare ad un intento moralizzante delle sue opere, come se l’arte di Hamlet avesse l’obbiettivo, attraverso le sue provocazioni, di far riflettere lo spettatore, di smuovere la sua coscienza assopita. “A badar bene”, scrive Carlo Munari già nel 1973 (“Un bestiario moderno di Max Sauvage”), “il suo gesto non si esaurisce in un grido, pur legittimo, di protesta, ma si dilata fino a rivelare un fondo di pietà per l’uomo, inconsapevole vittima di un sistema, per l’uomo ormai inchiodato alla croce dell’alienazione oggettiva”. Altro elemento è il metamorfismo, proprio di Alberto Savinio e di Marx Ernst, i quali rappresentavano delle figure umane con la testa di uccello. Ecco, il teriomorfismo di Hamlet rende sicuramente omaggio a questi antecedenti illustri, caricando la rappresentazione con una ibridazione ai confini dell’alchimia, che sfocia nel paradossale, nel grottesco, e quindi nel surrealismo.  Ma quello di Hamlet, per via dell’influenza fumettistica, è un surrealismo pop, come lo ha definito Marina Pizzarelli (“Le bizzarre chimere della psiche”, 2013), ossia il “Pop Surrealism nato in California nella seconda metà degli anni ’80 e il neo Surrealismo narrativo degli anni ’90 del Novecento che in un linguaggio pittorico prossimo all’illustrazione traduce, come un sensibile sismografo, la dimensione inconscia.” Inoltre, quella di Hamlet è anche pittura onirica, e infatti è proprio a livello inconscio che egli parla alla psicologia degli spettatori. “Nei suoi quadri”, scrive Eugenio Giustizieri nel 2008, “Hamlet si fa psicologo e indugia satiricamente sulla vita mondana del potere economico, degli ambienti sofisticati e crudeli della jet-set society, dalle piscine dei grandi hotel alle spiagge, alla civiltà dei grandi aeroporti, al potere militare e alla noia dove il lusso e l’ipocrisia di attempate signore in relax nei salotti borghesi, si contrappongono alla violenza tragica perpetrata nelle città”. L’altro elemento, pure sopra richiamato, è la Pop Art, con la sua coazione a ripetere, che Hamlet fa propria. L’accumulo, le riproduzioni stereotipate di personaggi ed ambienti richiamano dappresso la cultura di massa, il consumismo degli anni del boom economico, la mercificazione propria delle civiltà del benessere, iconizzata dai suoi oggetti feticcio, ma in senso antifrastico, ossia come condanna della stessa.

È questa la componente ideologica, marxista diremmo, che sottende la visione del mondo di Hamlet e si esplica nelle sue opere attraverso denunce metaforizzate in chiave ornitologica.  Stefano Ravaioli  lo definisce un “neo-surrealista esistenziale” (1997). “Il discorso dell’artista, pur inseribile in una precisa temperie surrealista”, scrive Enzo Santese (“Una realtà vestita di straordinarie fantasie”, 2009), “ha in sé la sostanza di una sintesi personale, a cui è pervenuto dopo una ricerca metodica e solitaria: l’idea tutta contemporanea che le persone, immerse nelle seduzioni vere e false decantate dai media, finiscono per diventare personaggi, tradendo così la propria matrice d’identità. Anche per questo l’artista ritrae un’umanità che ha perso le proprie connotazioni somatiche per assumere quelle di uccelli o di animali in genere. Nell’ambito di un’ironia sottile che procede a metamorfosi così estreme, non c’è solo la volontà di giocare con gli atteggiamenti tipici di certi ambienti alto-borghesi, ma di incidere con il bisturi impietoso del proprio disincanto sugli atteggiamenti tipici di certe persone, legate più al sofisma dell’apparire che non alla sostanza dell’essere”.  Ancora, evidente è l’elemento erotico: l’erotismo permea le sue pitture spesso in chiave sadomaso, la donna è perennemente al centro del suo immaginario e motore vero della sua vitalità, o “vitalismo”, come lo ha definito Pierre Restany (1997). “E’ indubbiamente l’eros la chiave primaria per una giusta lettura delle sue opere, ma quante altre suggestioni agiscono nella cadenza delle sue metafore: l’ironia, l’incanto, il sortilegio, il gioco”, scrive Mario De Micheli ( in “Max Hamlet: un surrealista selvaggio senza frontiere”, 1997). Hamlet riesce a coniugare insieme “il surrealismo veristico o illusionistico della Vestizione della sposa e dell’Anti papa di Marx Ernst, le donne aurorali e le veneri addormentate di Paul Delvaux, le metamorfosi mitologiche di Alberto Savinio, le trasfigurazioni magiche e straniate di Magritte,  le metafisiche apparizioni di De Chirico, le oniriche e giocose depravazioni di Salvador Dalì’”, sostiene Licio Damiani (in “Un bestiario della contemporaneità”2010). Si tratta dunque di pittura informale, nella quale l’astrattismo gioca un ruolo fondamentale.

I citati riferimenti sono importanti per capire l’universo zoomorfico metropolitano nel quale questo Amleto salentino cala i suoi personaggi. Egli riproduce le opere dei grandi maestri, pensiamo al ciclo omaggio a De Chirico, oppure all’omaggio a Roy Lichtenstein, o a Magritte, o a Salvatdor Dalì, mai in maniera banale e pedissequa, come una operazione di puro plagio, ma reinterpretandole secondo la personale visione del mondo, in chiave pop.  Se il suo fumetto è di maniera, come ha scritto Pierre Restany (che parla di lui come di un “cantore della libertà e un rivoluzionario di un’arte puntata sul mondo”, 1995), tuttavia si tratta di alta avanguardia. Max, “ The new star of Pop- Art Surrealism”, quale si autodefinisce in uno degli infiniti cataloghi autoprodotti, è anche fotografo e, come nelle pitture, oggetto privilegiato della sua ricerca artistica è il corpo della donna, ripreso, con impronta iperrealista, nei suoi particolari anatomici più intimi che vengono smontati, come sezionati, e rimontati, in un processo estetico intrigante, perversamente fascinoso. Domina infatti, anche qui, l’erotismo hamletiano, una languida sensualità che soffonde l’informale della sua arte visiva.  Stesso discorso per le sculture biomorfiche, arricchite anche dai disegni preparatori, che ci fanno entrare nell’officina dell’artista. Anche nelle sculture non c’è niente di convenzionale, di stantio, retorico, ma c’è l’assoluta libertà di esprimersi seguendo i propri dettami interiori, l’onda della propria ispirazione. Questi lavori sono generati da una “energia biopsichica” come l’ha definita Roberto Senesi (“La razionalità tra l’inconscio e la realtà nelle opere di Max Sauvage”, 1983), cioè  una energia interna, che nasce dal profondo. Il suo nomadismo culturale lo porta a siffatte operazioni ardite ma certamente suggestive: coniugare elementi così diversi servendosi degli stilemi della pop art è sicuramente interessante, è azzardata avanguardia, postmoderna sfida alla tradizione, attraverso le allegorie teriomorfiche, ipercromatiche, suggerite dalla sua fantasia artistica. “Un trinomio di intellettualità, d’ironia e di sapienza accomuna Max Hamlet Sauvage ai due massimi inventori del surrealismo, che sono: Alberto Savinio e suo fratello Giorgio De Chirico”, scrive Maurizio Nocera nel 2011. Max Hamlet viene definito un “utopista, rivoluzionario, tra sacro e profano”, da Eugenio Gustizieri (2010), che parla di un “realismo fantastico, evocativo e drammatico nello stesso tempo”. E oggi, “il maestro del neosurrealismo europeo”, come lo ha definito Maurizio Nocera (2013), incontra anche gli amici di Galatina attraverso la prestigiosa e battagliera rivista “Il filo di Aracne”.