SAN SEBASTIANO MARTIRE

PROTETTORE DI GALATINA

La donazione della reliquia di San Sebastiano alla città di Galatina

in un documento notarile inedito del 1704

 

di Filippo Giacomo Cerfeda

Atto notarile

Una mia recente scoperta nell’archivio storico diocesano di Otranto di un atto notarile del 1704 del notaio galatinese Giacinto Angelini getta un piccolo raggio di luce sul culto tributato al Santo Martire nella città di Galatina, venerato come “Protettore”.

Il documento originale è costituito da quattro fogli recto/verso, con cartulazione coeva da 115r fino a 118r, con all’interno un allegato, in copia originale, non cartulato. La quinta facciata dell’allegato contiene il tabellionato del protonotario apostolico don Oronzo Picca, arciprete di Galatina.

L’atto notarile di Giacinto Angelini è stato rogato il 28 giugno 1704 nella “Terra di San Pietro in Galatina”, alla presenza di Giacinto Ottaviano, regio giudice ai contratti, e dei testimoni: sacerdote don Giuseppe Oronzo Mori, dottore in entrambi i diritti (civile e canonico), Giovanni Mongiò, sacerdote don Didaco Picca, chierico Giovanni Tommaso Fusaro, chierico Giovanni Leonardo Mongiò e Giovanni Andrea Merico, tutti di Galatina.

Davanti al notaio si costituiscono: il padre Giovanni Battista Mongiò, abate dell’Ordine dei frati Celestini, originario di Galatina, da una parte; Francesco Papaleo, sindaco della “Magnifica Universitas” (Municipalità) di Galatina, dall’altra parte.

L’abate Mongiò spontaneamente asserisce di possedere una reliquia “insigne” del glorioso martire San Sebastiano, consistente in un osso lungo un palmo, fissato dentro un reliquiario con il prospetto d’argento e base di ottone indorato, sigillato nella parte anteriore con cera rossa di Spagna. Tale reliquia gli era pervenuta da una donazione fatta dal reverendo don Michele Rondino, mansionario garganico e Protonotario Apostolico.

Questa prima dichiarazione di padre Mongiò precede l’esatta trascrizione ‘de verbo ad verbum’ (parola per parola) di un’autentica delle reliquie e di un atto notarile precedente rogato a Roma in data 26 febbraio 1662.

Dal regesto di questi due rogiti notarili rileviamo queste precise informazioni.

Particolare dell’atto notarile

In una dichiarazione del 4 marzo 1665 resa dal frate Giovanni di San Francesco, dell’Ordine della Santissima Trinità Redenzione degli Schiavi, il religioso “scalzo” dichiara di donare le reliquie dei Santi Martiri all’Ospedale o Collegio “de’ Putti Letterati” di Roma affinché tutte le singole parti fossero collocate ed esposte alla venerazione dei fedeli nella loro chiesa, conformemente alla facoltà che gli era stata concessa nel rogito notarile di consegna e dalla autentica delle stesse reliquie. In pari tempo esortava i “putti” ad elevare preghiere di suffragio per la sua anima e riconoscere nel dono prezioso un segno di affetto verso il venerabile ospedale.

Il percorso della cassetta contenente le sacre reliquie però non si ferma.

Dal Collegio romano dei “Putti Letterati” la cassetta viene successivamente donata al sacerdote Michele Rondini, mansionario garganico e protonotario apostolico. La dichiarazione di consegna viene resa dal protonotario “con giuramento tacto pectore” (toccando il petto) in presenza del regio notaio Giuseppe Antonio Torres di Monte Sant’Angelo, pubblico notaio apostolico operante nella città garganica. Inoltre, il Rendini (o Rondini), nella medesima dichiarazione giurata, afferma di aver donato a sua volta la cassetta in oggetto al reverendissimo don Giovanni Battista Mongiò, abate del monastero di San Benedetto dei padri Celestini della stessa città di Monte Sant’Angelo, insieme con la facoltà di collocare le reliquie in luogo idoneo ed esporle alla venerazione dei fedeli.

Il riconoscimento della cassetta da parte del notaio Torres, in maniera conforme ai precedenti atti notarili, trova la sua conferma attraverso la chiusura e sigillo impresso dal cardinale Vicario. Mediante i dovuti e necessari requisiti, la cassetta viene aperta il giorno 12 novembre 1703 in presenza del notaio Torres e dell’abate Mongiò, il quale ne ha estratto alcune reliquie per essere subito utilizzate nelle solenni consacrazioni delle pietre sacre degli altari già costruiti dentro la chiesa di San Giovanni, incorporata nel monastero dei padri Celestini. La cassetta fu nuovamente serrata e sigillata con il “suggello” del monastero.

A distanza di sei mesi, il 18 maggio 1704, con i necessari requisiti e sempre in presenza del notaio, padre Giovanni Battista Mongiò ha riaperto la cassetta estraendo un pezzo di osso della lunghezza quasi di un palmo, annotato con cartellino stampato col nome di San Sebastiano Martire, e, sempre in presenza del notaio, l’ha riposto diligentemente dentro un reliquiario di rame con il frontespizio d’argento, al fine di esporlo alla pubblica venerazione. L’osso del santo martire fu ancorato bene in modo da non poter cadere sul fondo della cassetta né essere facilmente asportato. Due sigilli in cera di Spagna, uno dell’abate Mongiò e l’altro del protonotario Rondini, assicurarono poi la chiusura definitiva sia della cassetta grande, da cui era stato prelevato l’osso di San Sebastiano, sia del reliquiario di rame. Queste due operazioni avvennero alla presenza dei sacerdoti: Leonardo Giordano e Antonio Verone, convocati ad hoc dal notaio Antonio Torres.

La copia originale, estratta dal protocollo del notaio garganico, venne esibita all’arciprete di Galatina don Oronzo Picca, protonotario apostolico, e riportata fedelmente nell’atto notarile di Giacinto Angelini del 1704. Il tabellionato di Picca non lascia dubbi del suo esercizio notarile per autorità apostolica romana (D.O.P.A.G.N.Ap = Don Oronzo Picca Arciprete Galatina Notaio Apostolico).

La parte conclusiva del rogito di Angelini rivela sicuramente l’aspetto più interessante delle vicende del lungo iter delle reliquie.

Il patrizio di Galatina, abate Mongiò, soggiunge e invita il notaio ad annotare, nell’atto, la sua volontà di lasciare un segno ed una perpetua memoria del suo grande affetto verso la città natale, per il grande desiderio di vederla esaltata mediante il patrocinio dei Santi. Ecco perché prima di fare ritorno nel suo monastero garganico, per ragioni del suo governo dove è stato chiamato dall’obbedienza del suo Ordine religioso, ha determinato di donare, con donazione irrevocabile tra vivi, all’Universitas (Municipalità) di Galatina la reliquia di San Sebastiano, quella che aveva incastonato nel reliquiario di rame col frontespizio d’argento e di consegnarla di persona al sindaco ‘pro tempore’ (del momento) di Galatina, al fine di esporla alla pubblica venerazione dei fedeli della sua “Terra” natia. Quindi un segno, una memoria, ma soprattutto per il motivo che “detto Glorioso Santo Sebastiano è uno de’ Protettori di detta Terra”. Una donazione meditata da mesi e resa operativa in questo preciso momento alla presenza del notaio, del sindaco della città, dell’arciprete Picca e del tesoriere della Collegiata di Galatina al quale viene affidato il compito precipuo di conservarla insieme con le altre reliquie della chiesa matrice. Nell’atto del ricevimento del reliquiario, con l’osso del santo protettore, il sindaco Papaleo ringrazia cordialmente l’abate Mongiò, a nome personale e a nome dell’intera cittadinanza di Galatina, per il gesto di affetto, di memoria e di grande zelo che ha mosso l’abate verso la sua “Patria”. Lo stesso sindaco, in esecuzione della condizione apposta dal donante, consegna seduta stante la reliquia al sacerdote Luigi Arcudi, tesoriere pro tempore della Collegiata, per trasportarla e riporla nel “riposto Maggiore” delle reliquie.

Altra pagina dell’atto notarile

Tutto ciò viene fedelmente annotato dal notaio “ad perpetuam rei memoriam” (a perenne memoria dell’avvenimento).

Fin qui l’atto notarile e l’allegato della primissima donazione datato 26 febbraio 1662.

Siamo certi che l’amore per la terra natale, lo zelo e la devozione dell’abate (e di tutti i galatinesi) verso il santo martire, nonché la precisa intenzione di lasciare una perenne memoria, ha indotto il patrizio Mongiò a compiere questa spontanea donazione all’intera città, perché si perpetuasse nei secoli il ricordo della speciale protezione attribuita a San Sebastiano.