Templari salentini

 

A differenza dei tanti Templari più o meno famosi del Meridione d’Italia, che tra la fine dell’undicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo contribuiscono a sostenere le sorti dei crociati in Palestina, quelli di Terra d’Otranto, invece, sono pochi e non sempre si distinguono per coraggio e spirito guerriero. Di questi è degno di nota solo un grande personaggio, una figura scomoda e controversa, che dalla Storia non ha avuto i meritati riconoscimenti ed onori.
Si tratta del frate brindisino Ruggero da Flor(es). Per alcuni storici è uno strenuo difensore della causa del Tempio, un valoroso cavaliere che difende con ardimento gli insediamenti cristiani dalle orde saracene; per altri, invece, è un avventuriero, un uomo senza scrupoli, un vero pirata, che con le sue scriteriate azioni getta disonore sui Templari, avvalorando in tal modo le accuse di cupidigia e di miscredenza mosse nei loro riguardi dal re di Francia, Filippo IV il Bello, e dal papa Bonifacio VIII prima e Clemente V poi.
Consultando le fonti e gli atti scritti, peraltro il più delle volte contraddittori e non sempre attendibili, possiamo confermare, tra qualche dubbio, entrambe le ipotesi.
Ruggero nasce a Brindisi da Riccardo da Blumen (Turingia), falconiere di Federico II, che aveva latinizzato il provicinanze del porto, è solito salire sulle galee e conversare con i marinai.
Continua il Muntaner1 nella descrizione: “Il buon frate Vassayl s’affezionò talmente al piccolo Ruggero da amarlo come fosse il proprio figlio. E lo chiese a sua madre dicendole che (…) avrebbe fatto il possibile affinché diventasse un buon templare. La madre, vedendo che era un valentuomo, glielo affidò volentieri (…).


Il piccolo Ruggero diventò il più esperto ragazzo di mare (…), così che quand’ebbe vent’anni era ritenuto marinaio esperto nella teoria e nella navigazione (…). Il gran maestro del Tempio, che l’aveva visto entusiasta e buono, gli diede il manto e lo fece frate-converso2.
Poco dopo che egli era diventato frate, l’ordine comprò dai genovesi una grande nave (…), il Falco del Tempio, e l’affidò a frate Ruggero da Flores”.
D’indole generosa e buona, Fra’ Ruggero divide con i marinai e con chi ne ha bisogno ciò che guadagna.
Combatte per diversi anni i saraceni, distinguendosi per il suo innato ardimento e per lo spirito magnanimo nei confronti di chiunque, anche degli stessi nemici, ad alcuni dei quali risparmia la vita.
Nel 1291, quando ormai le sorti dei crociati in Terra Santa sono irrimediabilmente compromesse, il templare salentino prende parte alla gloriosa resistenza di San Giovanni d’Acri ed accoglie sulla sua galea donne e bambini, portandoli in salvo a Monte Pellegrino in cambio di considerevoli somme di denaro, che comunque versa nelle casse del Tempio. Alcuni suoi nemici lo denunciano al Gran Maestro Jacques de Molais, accusandolo di essersi appropriato di una parte cospicua delle fortune raccolte. L’Ordine gli dà la caccia per terra e per mare, gli confisca i beni, lo espelle dal Tempio, ma non riesce a catturarlo. Fra’ Ruggero è costretto a riparare a Marsiglia, dove disarma la galea, per poi raggiungere Genova, ospite di amici fidati.
Da questo momento in poi cambia la vita di Fra’ Ruggero: muore il buon Templare, servitore di Cristo e degli umili, e nasce il corsaro; non muore però il desiderio di battersi per la giusta causa.
Aiutato dagli amici genovesi, Ruggero acquista una buona galea che battezza con il nome di “Olivetta” e si mette al soldo dei potenti. Il primo regnante ad ingaggiarlo è il re di Sicilia, Federico d’Aragona, che lo nomina vice-governatore della Sicilia, dopo che Ruggero ha liberato Messina dall’assedio della flotta angioina.
In seguito alla pace di Caltabellotta tra Aragonesi ed Angioini, temendo di finire nelle mani di questi ultimi che ne reclamano la testa, Ruggero abbandona la Sicilia e fonda la Compagnia Catalana, costituita più che altro da mercenari d’Aragona, di Linguadoca, di Navarra, di Castiglia, di Catalogna, quest’ultimi meglio chiamati con il nomignolo di Almogàveri3.
Un altro cronista catalano dell’epoca, Bernat Desclot, così li descrive: “Sono uomini che vivono venture guerresche, sempre pei monti e pei boschi: battonsi notte e dì coi Saraceni (…), bottinando e strappando loro schiavi e robe; menano vita aspra e dura, passando talvolta due giorni senza mangiare e cibandosi di erbe selvatiche senza averne molestia (…); hanno una buona lama pendente, una lancia, due giavellotti e uno zaino di cuoio dove serbano il cibo; sono poi fortissimi e assai spediti a correre e inquietare il nemico”.
Nel breve volgere di pochi anni e dopo alcune vittoriose battaglie contro i Saraceni, Ruggero è considerato ormai uno tra i più abili e valorosi condottieri.


Dopo aver sconfitto e massacrato i commercianti genovesi a Costantinopoli, l’ex frate stringe accordi militari ed economici con l’imperatore Andronico II Paleologo, sceso in guerra contro i Turchi. La fama di Ruggero aumenta con il trascorrere degli anni, soprattutto tra i suoi marinai che sono pagati sempre in anticipo. In pochi anni accumula fortune su fortune che gli consentono di mettere insieme un piccolo esercito di quasi quattromila soldati ben equipaggiati e di poter contare su una flottiglia di buone galee. In tutto questo si avvale anche dell’aiuto di Berengario d’Enteça, suo “fratello giurato”.
I fortunati accadimenti di battaglia gli procurano la nomina a granduca da parte di Andronico. Il brindisino continua a guerreggiare contro i Turchi inseguendoli e sconfiggendoli più volte nell’entroterra dell’Anatolia, sino ad entrare in Armenia e nell’alta Siria. Il condottiero, forte di un esercito composto da Bulgari, Almogàveri, Alani, si spinge sino a lambire le sponde dell’Eufrate, ma un perentorio ordine dell’imperatore lo costringe a desistere e a ritornare a Costantinopoli, dove è nominato “Cesare” e, in aggiunta, gli viene offerto il governo della parte asiatica dell’impero. Al suo fedele amico Berengario d’Enteça è assegnato il titolo di “Megaduca”.
Prima di ripartire con le sue truppe in Anatolia per sedare alcune rivolte, Ruggero partecipa con gli amici più fidati ad una festa organizzata in suo onore dal figlio dell’imperatore, Michele Paleologo.
Quest’ultimo, forse perché accecato dall’invidia verso il condottiero brindisino o perché istigato da altri dignitari, lo fa ammazzare durante la libagione per mano di tale Gircone. Oltre a Ruggero, sono uccisi tutti gli uomini della sua scorta, ad eccezione di Berengario d’Enteça ed altre due guardie, che fortunatamente si nascondono in un campanile.
Il 15 (?) maggio 1305, all’età di 39 (?) anni, muore per tradimento un grande servo della causa del Tempio, un valoroso condottiero che avrebbe sicuramente cambiato lo scenario politico in Terra Santa e, forse, realizzato il grande sogno di imperatori e papi di restituire definitivamente alla cristianità i luoghi santi.
1 – Ramon Muntaner – Si veda “Cronique de Ramon Muntaner”, pp. 113-173, a cura di J. A. Buchon – Parigi ed inoltre “Vita e morte dell’ordine dei Templari” di Alain Demurger, pp. 178-180.
2 – “…e lo fece frate-converso” – Su quest’aspetto alcuni studiosi dissentono, come ad esempio Vito Ricci e Enzo Valentini, che considerano Ruggero da Flor uno dei tanti maestranti al seguito dell’istituzione monastico-cavalleresca, mentre altri, come il catalano Mascarò, lo definiscono “Poderoso en la mar, valiente y estimado soldado, practico y bien afortunado marinero” ed altri ancora, come Andrea Frediani, uno dei più valorosi templari.
3 – “Almogàveri o Mugàveri” – Termini che derivano dall’arabo Al-mugàwir, che significa “il soldato”. Tale cognome è tutt’oggi presente tra la gente salentina, soprattutto nel Nord leccese. Infatti, a Salice Salentino, a Veglie e a Guagnano sono presenti le famiglie “Mogàvero”.