MINO DE SANTIS

La voce del Salento

 di Giuseppe Magnolo

Dialetto e identità.  Capita spesso nella saggistica di utilizzare il mezzo linguistico per mettere in evidenza, o anche per difendere, una certa idea di identità salentina, che passa attraverso consuetudini, tradizioni culturali, modalità espressive particolari. Si enfatizza l’uso del dialetto esaltandone l’immediatezza, il richiamo alla concretezza, il tono di familiarità che sempre contraddistingue l’approccio di chi si rivolge agli altri senza la freddezza dei paraventi pseudo-linguistici offerti dalla lingua nazionale, che inibiscono un rapporto di spontanea confidenzialità. Questa sensazione di contatto immediato è ciò che dapprima viene in mente ascoltando le canzoni di Mino De Santis, accompagnata dall’idea di essere esposti a qualcosa che in buona parte già si conosce, perché fa parte della nostra storia sia individuale che collettiva, perché adotta gli stessi termini che noi useremmo in circostanze informali e contingenti, perché verte su contenuti di esperienza facilmente riconoscibili, in quanto appartengono al nostro vissuto quotidiano ed alla realtà che ci sta attorno. Assistere ad uno dei suoi concerti è come ritornare per un attimo indietro nel tempo di almeno un paio di generazioni, per capire meglio il presente e la sua vera ragion d’essere, temporaneamente velata dietro una coltre di generalismo, spesso privo di radici e valori di riferimento.

L’arte come narrazione e comunicazione. Mino De Santis è un cantautore salentino d.o.c. Quasi cinquantenne, è nato a Tuglie, piccolo e grazioso paesino nei pressi di Gallipoli, ed ha deliberatamente scelto di continuare a viverci, dopo varie esperienze di distacco temporaneo per studio, lavoro e attività di formazione. Tale decisione la dice lunga sull’importanza da lui attribuita alla possibilità di mantenere, nel bene e nel male, i legami con i luoghi della propria infanzia, con le persone che si conoscono da sempre, con la realtà naturale che fa da sfondo a questo remoto angolo del sud. Questa scelta, che incontra un limite notevole nella evidente arretratezza e penuria di risorse che secolarmente hanno caratterizzato il Salento, ha però il grande vantaggio di permettere a chi ci rimane di sentire ancora il calore umano della gente, la sua apertura alla vicinanza ed alla partecipazione, la sua attenzione verso ciò che può essere condiviso. I ritmi temporali qui sono lenti e rilassati, non assillati dall’urgenza del lavoro per il profitto ad ogni costo, adagiati su una frugalità di abitudini che lascia spazio alla vita di relazione, fatta di comunicazione spicciola, chiacchiere di paese, racconti di esperienze in parte vere e in parte inventate, magari condite di spirito salace e pungente ironia. Questo gusto per la narrazione, l’affabulazione sapientemente orchestrata, è stato da tempi ancestrali una prerogativa degli anziani (in genere le nonne) rivolta verso i più piccoli, e costituiva spesso l’anima della comunicazione nell’ambito delle famiglie allargate di un tempo, in cui appunto gli anziani fungevano non solo da depositari delle memorie della famiglia ma anche da referenti di ammaestramento, in quanto portatori di esperienza e saggezza attraverso racconti, proverbi, detti popolari.

Il progetto artistico-culturale.  Occorre partire da questo preciso compito attribuito alla comunicazione orale riferita al gruppo di appartenenza, per comprendere le motivazioni e gli obiettivi che sono alla base della elaborazione di un vero e proprio progetto artistico-culturale che Mino De Santis persegue da tempo, secondo direttive chiaramente e accortamente definite. Nella sua decisione di fare il cantautore ovviamente hanno agito vari elementi. Tra i prerequisiti si possono indicare una bella voce baritonale intensa e profonda, un gusto musicale respirato già nell’ambito familiare ed affinato nel tempo, un’applicazione tenace nel fare propri i fondamentali della professionalità, attingendo alla folta schiera di artisti che lo hanno preceduto in ambito nazionale e non solo. Un secondo elemento è rappresentato dallo sfondo culturale e linguistico destinato a fungere da terreno di caccia, o (se si preferisce) da ambito di creatività, nella fattispecie costituito dalla realtà salentina con tutto il suo corredo di usi, tradizioni, figure e personaggi rappresentativi di una mentalità e un modo di vivere, che in genere si ritengono scomparsi, e che invece per incanto riappaiono dietro l’angolo. Il terzo elemento è rappresentato dal target a cui l’autore si rivolge, individuato a partire dal suo stesso habitat e progressivamente ampliato, ragionevolmente motivato dalla sua convinzione di dover raggiungere l’ascoltatore in presa diretta, dandogli la chiara sensazione di scrivere e comporre canzoni non semplicemente rivolgendosi a lui, bensì per parlare di lui medesimo, calandosi nel suo vissuto con simpatia e comprensione. È su questo versante che si apre anche un varco di attenzione ed impegno verso tematiche di rilevanza sociale.

Strumenti di condivisione. Fin dagli inizi l’intento del cantautore è stato quello di non affidare il buon esito del suo progetto artistico-culturale ad una casa discografica, per poi dipendere da essa e vivere di diritti d’autore, bensì quello di gestire direttamente il suo rapporto con il pubblico senza alcuna intermediazione, sfruttando qualunque possibilità offerta in tal senso mediante esecuzioni dal vivo, in luoghi sia pubblici che privati, nelle piazze d’estate e locali chiusi d’inverno, in scuole e luoghi di intrattenimento, sia nelle sedi di associazioni culturali che in strutture allestite in località di richiamo turistico. A ciò si affiancano le risorse offerte da Internet: un sito ben curato ed ampiamente rappresentativo della sua vasta produzione; la possibilità di comunicazione veloce mediante i social networks; l’effetto di mobilitazione per i fans ormai fidelizzati, che seguono i suoi concerti dal vivo con costante interesse. Questo afflato partecipativo si coglie sempre nelle sue esibizioni, nonostante (o forse grazie a) il basso profilo messo in campo dall’autore, che si mostra sempre alieno da atteggiamenti divistici, e gradisce proporsi amichevolmente con semplicità e naturalezza.

Contenuti tematici.  Come cantautore Mino De Santis è assai prolifico. La sua vena di ispirazione è frequentemente sollecitata dallo spettacolo della vita che si svolge sotto il suo sguardo di indagatore attento dei sentimenti e le emozioni della gente. I CD realizzati dall’autore sono al momento: Scarcagnizzu (2011), Caminante (2012) e il più recente Muddhriche (2013). Qualche problema di organizzazione editoriale ha per ora dilazionato ulteriori produzioni discografiche. I temi delle sue canzoni rispecchiano in genere la vita quotidiana, ma a volte toccano anche argomenti importanti dal punto di vista sociale, lasciando trasparire l’impegno dell’autore a fianco dei più deboli. Particolarmente toccanti sono le narrazioni di storie d’amore d’altri tempi, con protagonisti dall’animo semplice e spontaneo. I testi elaborati da De Santis sono composizioni di carattere narrativo con sviluppo lineare ottenuto mediante una serie di strofe (8, 10, o anche più), che, dopo l’enunciazione iniziale della vicenda, si susseguono aggiungendo dettaglio a dettaglio in modo da movimentare la storia narrata, rendendola realistica e credibile, fino a portarla all’epilogo finale, che dà senso compiuto al tutto. L’autore spazia dalla vita quotidiana nel Salento (“Lu fidanzamentu”, “Lu masculazzu”, “Lu ccumpagnamentu”, “La festa padronale”) agli stereotipi di paese (“Lu sacristanu”, “Lu mbriacu”, Lu preite”, “Lu moribondu”), dal solidarismo alla protesta sociale (“Pezzenti”, “Lu bonacciu”, “Cavaddhru malecarne”, “Lu cane”), dai ricordi nostalgici (“Porta verde”, “Arbulu te vulìe”, “Fiche cu le mendule”) alla narrazione di storie d’amore semplici e delicate (“Sotta na chianta te chiapparu”).

Qualità musicali. La parte musicale è concepita in modo strettamente funzionale al testo. Ci vengono proposte melodie facilmente orecchiabili e ripetute per ciascuna strofa con lievi variazioni, in modo da predisporre l’orecchio dell’ascoltatore ad accogliere ogni singolo verso in una continua accumulazione di particolari significativi, in cui si articola la vicenda descritta. Si tratta in genere di ritmi tradizionali scanditi con passo di danza e dolcemente rievocativi, oppure l’opzione è verso modulazioni di taglio moderno e vivace. Cresciuto con la canzone d’autore,  e avendo coltivato da sempre questa forma di espressione artistica, De Santis mostra di aver assimilato a fondo gli stilemi espressivi dei grandi che lo hanno preceduto (da Fabrizio De André a Lucio Dalla, da Giorgio Gaber a Paolo Conte, da Francesco De Gregori a Pino Daniele, da Francesco Guccini a Stefano Rosso, e via dicendo), ma sempre mantenendo una connotazione distintiva incentrata su un forte attaccamento alla propria terra d’origine, il che gli ha consentito di pervenire a modalità compositive ed interpretative del tutto personali.  La sua voce calda e flessuosamente modulata conquista l’intimità dell’ascoltatore coinvolgendolo in modo immediato, grazie anche alla vena di spontanea inventività che l’autore tende sempre ad esprimere nelle sue esibizioni dal vivo, riuscendo a far presa su un vasto pubblico, che volentieri lo segue e lo apprezza. Significative sono anche le sue preferenze nelle esecuzioni a carattere polistrumentale, in cui l’impronta tradizionale è data sia dalla scelta degli strumenti utilizzati (chitarra, mandolino, fisarmonica, sax soprano, ecc.), che dagli arrangiamenti, che talvolta includono brevi innesti di esecuzioni bandistiche, volte a ricreare la tipica atmosfera di festa di paese.

Valenza poetico-letteraria. Sul piano linguistico e letterario le sue composizioni attestano la piena dignità espressiva del dialetto salentino grazie alla valenza poetica dei testi, sempre coesi, metaforicamente articolati, vivacizzati da effetti di contrappunto dialogico, e rigorosamente sorvegliati dal punto di vista metrico.  Come cantautore Mino De Santis ha composto oltre duecento canzoni, prevalentemente in dialetto e meno spesso in lingua italiana. L’autore rivela apertamente la sua intenzione di impegnarsi in una operazione di forte spessore linguistico-culturale, che, rivendicando una specifica identità salentina, intende anche aprirsi alla trattazione di temi universali, sì da superare i limiti di un compiaciuto provincialismo: “Nelle mie canzoni – egli afferma –  io scrivo e parlo di me, e parlando di me senza volerlo parlo per quella gente che non scrive o non canta, pur avendo dentro le stesse emozioni che io cerco di trasmettere. Uso il dialetto per parlare del popolo e del mondo di cui fa parte, attraverso un testo il più semplice possibile. […] Io immagino una canzone fatta di tanti piccoli tocchi di colore, messi al punto giusto, in modo da poter accendere un’emozione. Per me il dialetto salentino diventa lo strumento per parlare di ciò che va oltre i nostri confini geografici, perché la sensibilità verso certi temi non è legata ad una latitudine in particolare. L’amore per la terra e per i problemi che le gravano addosso, che sia il Salento piuttosto che un altro luogo, resta invariato per chi la percepisce come ‘radice’, come ‘cosa sua’”.

L’autoaffermazione responsabile. Constatiamo con piacere come l’onestà intellettuale dell’autore lo induca a parlare volentieri il linguaggio della chiarezza, trovando nelle proprie motivazioni una spinta che va ben oltre l’effimero risultato di una moda solo contingente. E non potrebbe essere altrimenti per chi, come l’autodidatta Mino De Santis, ha tracciato i suoi orizzonti di ispirazione originaria richiamandosi alla Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters, e spingendosi ancora più lontano verso una prospettiva dantesca nell’osservare a distanza “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Non è da trascurare il fatto che in anni recenti sia la sociologia che la semiotica abbiano rivolto notevole attenzione verso le forme e i contenuti della comunicazione realizzata, specialmente tra i giovani, attraverso l’ascolto delle canzoni d’autore, una consuetudine il cui risultato è far sì che alcuni cantautori diventino per molti appassionati quasi dei maîtres à penser. Ciò è accaduto spesso in passato, e continuerà ad accadere. La consapevolezza di questa sorta di responsabilità morale, di cui viene a caricarsi l’inevitabile ascendente esercitato dall’artista sulla più o meno vasta platea dei suoi ascoltatori, è ben presente per Mino De Santis, che in qualunque sua produzione non esita ad esprimere e connotare le proprie aspirazioni ideali, ma sempre riconducendole entro i confini di una umanità tollerante e solidale, che si affianca ad un evidente orgoglio identitario ed alla volontà tenace di autoaffermazione.

La parabola del successo. Si sa che il successo in ambito artistico segue percorsi imprevedibili, a volte rapidi e precoci, a volte invece lenti e tardivi, e questo indipendentemente dal talento dell’artista, che si trova spesso alla mercé di circostanze che esulano dal suo diretto controllo. Infatti, oltre alla validità artistica di quanto realizzato da un autore, esiste il ben più concreto problema dell’autosufficienza economica, su cui deve comunque appoggiarsi l’esercizio di qualunque mestiere o attività. È significativo nel caso di Mino De Santis che il suo itinerario vocazionale come cantautore, da lui perseguito costantemente sin dall’adolescenza, sia riuscito a vedere il suo pieno riconoscimento come artista di primo piano solo dopo i quarant’anni, grazie al sostegno del “Fondo Verri”, che nel 2011 ha sponsorizzato il suo primo disco Scarcagnizzu. Da allora la sua attività concertistica, prima soltanto occasionale e a latere di vari mestieri e attività da lui svolti, gli ha permesso di vivere sfruttando pienamente le sue doti compositive e canore. Non ci sorprende che, guardandosi indietro, egli avverta un senso di rammarico per il lungo “tempo sprecato”, artisticamente parlando, ma al tempo stesso provi un grande orgoglio per essere arrivato al successo unicamente con le proprie risorse. Come spesso accade, non tutti “in patria” sono propensi a mostrarsi promozionali verso i meriti altrui, generando comprensibili risentimenti. Tuttavia quello che conta al momento è il fatto che l’autore dimostra di essere nel pieno delle sue facoltà creative, appassionato e visionario, capace di distacco ed abbandono alla propria ispirazione, liricamente efficace nel descrivere i sentimenti propri ed altrui, energico e determinato nel sostenere idee e propositi culturalmente utili e propulsivi. La sua creatività in continuo fermento potrà anche consentirgli di esplorare scenari inconsueti, insomma non solo scrivere canzoni, ma aprirsi ad opere di più vasto respiro, come il musical e l’opera lirica. Sappiamo che in parte lo ha già fatto. Dunque attendiamo che senza indugio la sua vena sperimentale tiri fuori anche qualcosa di diverso, che probabilmente giace nel suo cassetto.