L’incontro

Ero nella Chiesa di S. Biagio a Galatina il 31 Gennaio 2025 e soffermavo con tristezza lo sguardo sulla foto, posta sulla bara, di Franco Antonica, amico fraterno, compagno di classe, collega e bravo pittore, deceduto il giorno prima, all’età di 91 anni. Tra i tanti ricordi, risvegliatisi in quel momento, mi sono riapparse le immagini delle sue interessanti interpretazioni pittoriche in stile romantico e simbolista, che mi aveva mostrato anni fa, in cui erano esaltati i valori umani e sociali. All’uscita mi è venuto incontro Ariano De Lorenzis, per salutarmi e per dirmi che voleva propormi qualcosa d’importante. Era molto emozionato anche lui per la perdita di Franco, suo amico, col quale condivideva l’uso di un piccolo laboratorio, sito nel centro storico galatinese. <<Tonio – iniziò a dirmi – ho letto l’articolo che hai pubblicato sul N. 3 del 2024 de ‘il filo di Aracne’, illustrante la ricerca artistica di Salvatore De Pascalis: ebbene… io… io mi sono ritrovato… e riconosciuto in quello scritto>>. Riprendendo un po’ di fiato, ha aggiunto: <<Sono anziano e, naturalmente, ho i miei acciacchi; ho lavorato tanto nella mia vita, ma non ho mai fatto una mostra. Desidererei che tu mi scrivessi con il tuo stile semplice e chiaro un articolo per poter lasciare, un domani, almeno una traccia della mia esistenza terrena>>. Sinceramente, non avendo mai visto alcuna sua opera, ignoravo ch’egli si dedicasse all’arte. Lo conoscevo e lo stimavo come docente di Educazione Artistica e, soprattutto, per il carattere riservato e per il comportamento rispettoso, leale, per nulla esibizionistico.

interpretazioni figurative

Note biografiche

Ariano, primogenito di Antonio e di Concetta Buono, nasce a Galatina il 29-3-1948. L’insolito nome ‘Ariano’ gli viene assegnato dal padre, come doverosa riconoscenza verso un omonimo soldato tedesco, il quale, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, gli aveva salvato la vita, quando, aggrappato ad un pezzo di legno, annaspava tra le onde del Mare Adriatico, dopo l’affondamento, a causa dello scoppio di una mina, della nave militare che doveva condurlo a combattere in Grecia. Dopo le Elementari frequenta la Media Inferiore e poi il triennio delle Superiori presso l’Istituto d’Arte di Galatina e consegue nel 1965 il Diploma di Maestro d’ Arte nella Sezione ‘Arte della decorazione plastica’. I suoi insegnanti apprezzano molto le sue capacità tecnico-espressive e lo spingono a partecipare a vari concorsi nazionali, in cui viene premiato con riconoscimenti e medaglie. Tra i docenti, che maggiormente lo aiutano a crescere culturalmente figurano Luigi Romano, Carmelo Faraone, Umberto Palamà e, in maniera particolare il compianto Mario Marra. Frequenta poi per due anni il Corso di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce e consegue le Abilitazioni all’insegnamento Classe XLIX e LI; ad esse, nel ’73, aggiungerà quella Riservata di ‘Discipline Plastiche’, ottenuta a Lecce, al termine del Corso abilitante speciale Classe 20.

Inizia la sua attività didattica nel ’69 in alcuni istituti superiori della Provincia di Potenza per poi proseguire, per complessivi 41 anni, nelle scuole medie, in qualità di docente di ruolo per l’insegnamento dell’Educazione Artistica, di Corsano, Casarano, Cutrofiano e Galatina. Apprezzato dai Capi d’Istituto e dai colleghi, viene eletto, per diversi anni, Vice Preside/Collaboratore. Nella Scuola Media di Cutrofiano sono ancora esposti al pubblico due grandi pannelli decorativi, per i quali ha prestato la sua collaborazione: la riproduzione con la pirografia su compensato del capolavoro di Picasso, “Guernica”, e, all’esterno, un bassorilievo in ceramica, illustrante le attività della scuola.

Il 1° Gennaio 1972 si unisce in matrimonio con Pina Scalese e diviene nello tesso anno genitore di Antonio, il quale, in seguito, gli darà la grande gioia di avere l’affetto di due nipoti, nel ‘79 di Marco e, infine, nell’83 di Francesco.

L’attività artistica

Visitando la sua ampia e bella casa-museo, al civico 47 di Via S. Vincenzo De Paoli del Rione S. Sebastiano di Galatina, ho provato un senso di stordimento e meraviglia, lasciandomi condurre da lui negli ambienti del Piano Terra e del seminterrato, le verande e i ripostigli vari, per la quantità esagerata di quadri appesi su tutte le pareti sino al soffitto e di sculture di varie dimensioni e forme sul pavimento. Mi è stato perciò difficile a primo acchito concentrarmi nell’osservazione di ogni singola opera per dedurne lo stile figurativo o il soggetto rappresentato; l’ho potuto intraprendere con ulteriori visite, completate con riprese fotografiche.

Sul piano stilistico le sue opere risentono chiaramente degli influssi dei due grandi movimenti artistici: l’Impressionismo e l’Espressionismo, anche se egli afferma di nutrire un’altissima predilezione per l’arte del Rinascimento italiano e un’ammirazione, in particolare, per Botticelli, Michelangelo, Raffaello e Leonardo. Nella maggior parte delle pitture, infatti, le pennellate con tocchi di colori sgargianti e l’indefinibilità dei contorni delle figure rappresentate ricordano le modalità tipiche della corrente ottocentesca, mentre i tratti marcati e sobri nella esecuzione dei ritratti dei familiari e delle figure scolpite su legno d’ulivo sembrano riflettere quelle della corrente, sviluppatasi nella prima metà del Novecento.

Gruppo in legno d’ulivo

Nella scelta dei soggetti o delle scene da rappresentare prende spunto dall’osservazione dal vero di paesaggi, piante, fiori, nature morte e figure umane, per poi interpretarli adoperando tecniche di vario genere: pittura con colori ad olio, a tempera e acrilici, applicazione di smalti su vetro, cartapesta e ceramica. La tecnica a lui più congeniale è, però, la scultura, settore di studio e applicazione sempre presente nella sua formazione scolastica e che esercita sulla pietra leccese e, in misura prevalente, su rami e tronchi d’ulivo, lavorandoli quando il legno è ancora tenero e non indurito dalla stagionatura. Il tema della crocifissione prevale nelle scene scolpite; con pochi segni e rilievi sulla superficie esterna, lo rende intensamente espressivo, assecondando magistralmente le peculiarità naturali del legno: venature, increspature, fenditure e nodi. Talvolta si diletta a trattare temi di arte sacra, raffigurando madonne e santi e, in alcune occasioni, affascinato dalla bellezza delle opere dei grandi Maestri del passato, prova ad abbozzarne timidamente delle copie.

In sintesi, dall’osservazione del tipo di tematiche affrontate e dalle conversazioni avute, ritengo di poter dedurre, con più sicurezza, quali siano le motivazioni, le fonti d’ispirazione e gli ideali che lo spronano a dedicare tutte le sue energie per produrre tantissime opere. L’impulso maggiore è il bisogno di esprimersi, di dare al suo mondo interiore la possibilità di rivelarsi liberamente dapprima a lui stesso e poi agli altri: famigliari, parenti e amici. La fonte più copiosa di stimoli gli viene offerta dal grande regno vegetale della natura, a contatto del quale, soprattutto ora che è in pensione, trascorre buona parte della giornata nella sua campagna, sita a pochi chilometri da casa. Amando intensamente la natura apprezza di conseguenza il valore della vita, dell’armonia e della pace.

Civetta

Ariano non è portato ad affrontare lunghi discorsi, al ‘parlare’ preferisce di gran lunga il ‘fare’: la copiosità e la varietà delle interpretazioni pittoriche e scultoree e la grande partecipazione passionale nel produrle lo testimoniano ampiamente. A marcare ulteriormente la sua modestia e onestà, mi confida di non considerarsi “artista”.

 

Lo scopo di questo e di tanti altri miei articoli risiede nella volontà di offrire personalmente un piccolo ma doveroso contributo alla conoscenza della memoria storica della comunità galatinese e, in generale, salentina, preservando e sottraendo dalle insidiose e ingiuste nebbie dell’anonimato l’esistenza di tanti operatori culturali.