Antonio Stanca
e la ricerca infinita
di Franco Melissano
Chi avesse la ventura di entrare di questi tempi nello studio di Antonio Stanca resterebbe abbarbagliato dal caleidoscopio di luci e di colori che si irradia dalla interminabile teoria di quadri appesi, posati, accatastati dappertutto.
Scoprirebbe subito che l’Artista è tanto simbioticamente compenetrato nelle sue opere – vero e proprio prolungamento del suo animo – da non riuscire a separarsene se non con estrema riluttanza e con un senso di sofferenza quasi fisica. Eccettuate le poche vendute in gioventù o donate a parenti e amici, quelle opere sono tutte lì, nel suo studio, quasi in perenne mostra antologica.
Ciò consente al fortunato visitatore di ripercorrere le varie stagioni artistiche del Nostro dall’ormai lontano esordio del 1959 fino ad oggi, avendo sott’occhio buona parte delle sue fatiche.
Superata l’iniziale sensazione di smarrito stupore, ciò che colpisce immediatamente l’osservatore è l’originalità dell’impronta, unica ed inconfondibile, di Antonio Stanca. Egli, nell’arco di oltre un cinquantennio, si è accostato a diversi stili, sempre però reinventandoli con interpretazioni tanto personali ed innovative da superarli senza mai appiattirsi in comodi manierismi o in sterili esercitazioni di scuola.
L’apparente diversità tra i vari periodi non deve trarre in inganno né tantomeno può permettere di ipotizzare una qualche frammentarietà o occasionalità della sua infaticabile ricerca.
Un filo rosso percorre l’intera produzione di Antonio Stanca, aggrumandola intorno ad un nucleo essenziale e riconducendola ad un disegno organico ed unitario. Dalla visione filosofico-esistenziale dell’Artista deriva l’identificazione dell’arte pittorica con l’esplorazione, continua ed ostinata, dell’ignoto dell’insondabile dell’inconoscibile – vuoi nella sua versione microcosmica (psiche umana) vuoi in quella macrocosmica (galassie sconosciute) – eternamente alla ricerca di risposte che tardano a venire.
Si tratta di una concezione aristocratica ed eroica dell’arte che sotto il profilo tecnico si esprime attraverso un sapientissimo uso del colore e un continuo attento addensamento/diradamento di luci e ombre.
Ciò conferisce alla pittura di Stanca un animato, misterioso movimento che genera nel fruitore un senso di incantato stupore, di ancestrali ricordi, di oniriche atmosfere finalmente ritrovate.
Ai rutilanti colori da bolgia dantesca immersi in un’ “aura senza tempo tinta” si susseguono gli incredibili verdi e i blu di fantastiche vertiginose profondità marine di verniana memoria; poi questi lasciano il posto ad una fantasmagoria di colori che in vorticosi movimenti tellurici ci squadernano fascinosi universi sconosciuti, proiettandoci in un interminabile viaggio intergalattico senza approdi.
In ogni caso, però, questo audace Ulisse della pittura porta l’occhio di chi guarda verso un centro focale lontano e misterioso, una vorticosa voragine senza fondo, un imbuto in cui tutto nasce e tutto si consuma – pittorica allegoria del dualismo vita/morte – che cattura l’osservatore costringendolo a filosofiche riflessioni sugli eterni interrogativi che da sempre affaticano l’umanità.
In attesa di ulteriori strabilianti espressioni dell’inesauribile vena creativa di Antonio Stanca, possiamo solo ringraziarlo per la fascinosa avventura in cui ci ha coinvolti con la sua straordinaria sensibilità.