La risoluzione della vertenza tra Galatina e Gallipoli per il possesso della Sacra Reliquia della mammella di Sant’Agata

 

Con minuta di verbale di consegna del 14 febbraio 1932 (documento inedito) dell’Archivio Storico Comunale di Galatina, il Micromosaico, il Calice argenteo del XIV secolo ed il Reliquiario di Sant’Agata, per interessamento di P. Gian Luigi Blasi sono a Lui riconsegnati quale rettore della chiesa della Santa sinaitica

di Domenica Specchia

Sul finire del secolo XIV, il Casalis Sancti Petri in Galatina fu feudo della famiglia dei del Balzo Orsini, fautrice con Raimondello, Conte di Soleto e di Lecce e Principe di Taranto, di un’importante opera religiosa: la chiesa di S. Caterina d’Alessandria. Il valoroso e tenace signore fu il fondatore dell’istituto cateriniano, costituito, illo tempore, da chiesa, convento ed ospedale ma, fu anche colui che dotò la chiesa di reliquie di martiri e di opere d’arte. Tra le numerose opere a valenza storica, religiosa ed artistica che, a tutt’oggi, costituiscono il tesoro di questa Pontificia Basilica Minore – esposto, dal dicembre 2003, nel refettorio dell’ex convento trecentesco – si annovera, tra l’altro, anche il “reliquiario di una mammella di S. Agata”, corredato da lettera di autentica dell’11 settembre 1940, a firma dell’Arcivescovo mons. Cornelio Sebastiano Cuccarollo. Dalla storia si evince che Agata, nome che in greco significa “nobile di spirito” (Catania o Palermo III-IV sec.), giovane di buona famiglia, essendosi da fanciulla, consacrata a Gesù Cristo, coraggiosamente respinse le avances di Quinziano, governatore, in quel tempo, della Sicilia, per l’imperatore Decio. Questi, pur avvalendosi della collaborazione di Afrodisia, donna di mal costume, non riuscì a corrompere la bella fanciulla e, pertanto, la fece perseguitare e martirizzare. Agata fu frustata, le furono lacerate le membra con uncini di ferro, bruciati i fianchi con lastre di ferro arroventate ed infine recise le mammelle con tenaglie. Il suo corpo fu tumulato a Catania, il 5 febbraio 251 d.C., e dopo essere stato portato a Costantinopoli, fu trafugato, nel 1126 dal francese Gilberto e dal calabro Goselmo, per volere del vescovo della città siciliana, il benedettino Maurizio. Si narra che, i due giovani, sulla via del ritorno, furono sorpresi, in mare, da una tempesta durante la quale smarrirono una delle mammelle della Santa, in località Cutrieri, nelle vicinanze di Gallipoli.

Martirio di Sant’Agata

La mammella fu ritrovata poi dai Gallipolini, l’8 agosto dello stesso anno, giorno in cui si proclamò S. Agata, patrona della città ionica. Sul finire del Trecento, Raimondello, divenuto ormai uno dei maggiori feudatari del Regno di Napoli poichè signore delle città di Otranto, Nardò, Oria, Ostuni, Mottola, Martina, Ugento, Ginosa, Palagiano, Gallipoli, in forza di un programma che aveva le sue motivazioni in obiettivi politici e sociali, ex auctoritate, trasferì la reliquia della mammella di Sant’Agata da Gallipoli nella chiesa orsiniana di Galatina, a corredo del già cospicuo tesoro cateriniano. Lo stile Tardo Gotico è il quid che caratterizza e relaziona questo manufatto ad altri coevi. La base, bordata da un motivo geometrico a traforo, è sagomata in sei campi con smerli convessi, terminanti a punta. In questi spazi, l’ornamentazione fitomorfica, sbalzata su fondo sablé, arricchisce la superficie del piede che, su tre dei sei specchi, è caratterizzata da clipei contenenti, forse in origine, emblemi distintivi della committenza. Alla base del fusto vi è un nodo plastico esagonale di dimensioni ridotte e, su di esso, un secondo di forma ellittica. Su questo si erge l’altra  breve parte del fusto che regge la mostra all’interno della quale, custodita in un’ampolla vitrea, di forma cilindrica, ed avvolta in una rete di filigrana dorata, con motivi geometrici, – come fosse un morbido involucro serico – vi è la mammella di Sant’Agata. Il baldacchino provvisto di vetro, è di forma prismatica con colonnine parzialmente tortili che sorreggono tre piccole torri angolari, sovrastate da altrettanti angeli armati; figure queste, riscontrabili anche alla base della teca. La custodia risulta finemente merlata, sia nella parte inferiore che in quella superiore terminante, quest’ultima, con una piccola croce apicale. Il raccordo tra mostra e base è improprio poiché le due parti fanno risultare il reliquiario composito. Infatti, de visu, si riscontrano similarità di forme tra la base di questo reliquiario e quella dell’ostensorio della chiesa collegiata dell’Annunziata di Grottaglie, opera di Francesco Caputo, come rivela la sua firma “e la croce che fu il suo punzone”. Valga a riprova di quanto anticipato la contesa mai sopita, tra Galatina e Gallipoli, per il possesso della sacra reliquia. La lettura e l’analisi dei documenti lumeggiano che, il sacro resto di Sant’Agata, portato a Galatina da Raimondello, fu custodito dai Francescani Osservanti fino al 1494, anno in cui la reggenza del complesso cateriniano passò agli Olivetani, per volere del re Alfonso II d’Aragona, e la reliquia di S. Agata, nel trambusto che seguì, fu depositata, a cura dei Francescani, presso i confratelli del convento di Gallipoli. Qui, mons. Alessio Zelodano, che tenne il pastorale della cattedrale di Gallipoli dal 1494 al 1508, fece realizzare un altro piede per la teca della mammella di Sant’Agata perché, l’originario, per cause sconosciute, era andato perduto. L’assedio di Gallipoli, da parte delle truppe di Carlo VIII, comportò il deposito del sacro resto, per qualche mese, presso il castellano di Lecce, da dove poi, su interessamento degli Olivetani, nuovamente fu trasferito a Galatina, evitando che il cimelio fosse bottino di guerra dei francesi. Il privilegio del 19 maggio 1497, concesso dal nuovo re Federico III d’Aragona alla città di Gallipoli per la restituzione della reliquia, non fu mai goduto dai gallipolini, tra l’altro, per i rivolgimenti politici in atto a quella data e, la sacra reliquia, con il rientro dei Frati Francescani Osservanti nel 1507 a Galatina, rimase poi presso la chiesa galatinese fino all’Ottocento. Il possesso della reliquia di Sant’Agata generò, nei secoli, ulteriori contrasti tra galatinesi e gallipolini.

Reliquiario della mammella

Finalmente, alla data dell’11 marzo 1835, il Ministro Segretario di Stato delle Finanze, incaricato del portafoglio degli affari ecclesiastici, formalmente comunicò all’Arcivescovo di Otranto che, la soluzione della vertenza tra le due città prevedeva e sanciva la “definitiva conservazione della reliquia di Sant’Agata presso i PP. Riformati di Galatina”. Nonostante la soluzione della vertenza, si continuò ancora a parlare di restituzione della reliquia alla cattedrale di Gallipoli con il vescovo della città ionica, Mons. Giuseppe Maria Giove, (1835 – 1846). Questi, scrivendo al Rev.mo Padre Generale dell’Ordine Francescano Bartolomeo Altemir (1835 – 1838), lo pregò di imporre la sua volontà sui Frati galatinesi perché restituissero la reliquia della mammella di Sant’Agata ai gallipolini dal momento che, mai in loro, si era spenta “l’ardente brama e la speranza di riacquistarla un giorno”. Con la soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose nel 1866, “fu dal Demanio preso possesso della chiesa di S. Caterina in Galatina annessa al convento omonimo, e poi da esso ceduta al Comune con tutti gli arredi sacri che conteneva affinché fosse aperta al culto … Il Comune conoscendone il pregio, credette suo interesse e dovere affidare quegli oggetti in custodia ad una famiglia Dolce di sua piena fiducia”. Proprio in questo periodo si registrano anche tentativi di sottrazione illecita così come, tra l’altro, trovasi scritto in un documento del 4 novembre 1897 della Direzione del Fondo per il culto n. 3040 – 63151, indirizzato all’Intendenza di Finanza di Lecce. La Sig.ra Adelaide Mongiò, vedova di Angelo Dolce, consegnò gli oggetti, da lei custoditi, all’Ufficio del Registro di Galatina, il 6 agosto 1909, così come si legge in una nota del Municipio di Galatina, datata 13 ottobre 1910, indirizzata alla Soprintendenza ai monumenti della Puglia e del Molise di Bari.

Stemma del Vescovo

In conseguenza di tali eventi, il calice del secolo XIV, il micromosaico del Cristo Pantocratore ed il reliquiario della mammella di Sant’Agata della chiesa cateriniana galatinese, furono custoditi nella cassaforte – fornita dalla ditta Riccardi Vincenzo e figli, il 31 maggio 1911 – “murata nell’ufficio comunale a seguito degli ordini della Sovrintendenza scavi e monumenti”. La controversia tra Galatina e Gallipoli si riaprì nel  1920 quando, la Curia di Gallipoli richiese ancora al Comune di Galatina la restituzione del sacro resto della Santa ma, l’Amministrazione galatinese, nuovamente, si oppose a tale istanza essendo, oltretutto, ampiamente documentata la risoluzione della relativa vertenza a favore dei Galatinesi. Il 7 luglio 1929, i Frati Minori ripresero il possesso del complesso cateriniano, chiesa e convento, e dopo lunghe pratiche, il 14 febbraio 1932 – come da minuta di verbale di consegna (inedita) da me compulsata poiché esistente nell’Archivio Storico galatinese – “alla presenza della dottoressa signorina Maria Luceri, nella qualità di rappresentante della Soprintendenza delle Belle Arti di Taranto, del signor Martino Eduardo fu Giovanni, primo procuratore del Registro, il Rev. P. Gian Luigi Blasi rettore della chiesa di S. Caterina di Galatina; il Cav. Domenico Galluccio fu Filippo, Podestà di Galatina”… si procedette alla consegna degli oggetti d’arte in discorso “alla chiesa di S. Caterina … custoditi nella apposita cassaforte del Comune”. L’allora rettore della chiesa cateriniana, dichiarò “di aver ricevuto i predetti oggetti e di tenerli a titolo di custodia, conservandoli nella apposita cassaforte costruita nella chiesa di S. Caterina”. Il verbale, da redarre in sei originali, sarebbe stato poi inviato “uno all’Intendenza di Finanza di Lecce; un altro alla Soprintendenza delle Belle Arti di Taranto; un terzo alla R. Prefettura di Lecce; un quarto … al Rev. P. Gian Luigi Blasi rettore della chiesa di S. Caterina; un quinto al primo procuratore del Registro di Galatina ed un ultimo … al Podestà del Comune di Galatina”.

Reliquiario

Il reliquiario di Sant’Agata, che oggi rimane esposto in permanenza nel Museo della chiesa, è l’originario per la parte superiore della custodia ma, non per il piede che, a mio modesto avviso, sicuramente non è quello che un tempo reggeva la mostra. Infatti, l’attuale piede è stilisticamente più tardo della custodia ed è, oltretutto, diverso da quello fatto realizzare, nel Cinquecento, da Mons. Zelodano poiché non si è riscontrato, su di esso effigiato, il suo stemma. Il sole, emblema di questo vescovo, lo si rileva, invece, visionando la base di un tabernacolo facente parte del tesoro della cattedrale di Gallipoli, dedicata a Sant’Agata; tabernacolo, custodito oggi, gelosamente, nel Monastero di S. Teresa di questa città. Quest’antica base venne adattata, fin dal 1907, dall’arciprete Francesco D’Elia (1840 – 1916), alla teca del tabernacolo da lui fatta costruire, così come peraltro risulta attestato dalla scritta latina incisa all’interno della basetta esagonale:”Hoc tabernaculum antiquissimo fulcimento consentaneum archipresbyter Franciscus D‘Elia sumpto suo fecit. Anno 1907” (L’arciprete Francesco D’Elia a sue spese nel 1907 fece costruire questo tabernacolo, adatto ad una base antichissima” – Trad. prof. Antonio Luceri)

In seguito, lo stesso supporto venne utilizzato per sostenere il reliquiario di S. Agata, in occasione delle celebrazioni (5 febbraio) in onore della Santa. Pertanto, alla luce di queste considerazioni, la ricerca storica riqualifica il piede dell’attuale reliquiario di Sant’Agata come probabile base della custodia del dito di S. Caterina ed il piede di questa, come utile appoggio di altro reliquiario; mentre, a tutt’oggi, rimane sconosciuta la sorte che toccò alla originaria base della custodia relativa al sacro resto della Santa catanese.