FEDELE ALBANESE

di Rosanna Verter

12 marzo 1882: i redattori de IL MONITORE odono un colpo di pistola, si precipitano nell’ufficio del direttore Fedele Albanese: è seduto sul divano, la testa reclinata sulla spalla, un mazzolino di viole all’occhiello del cappotto; a terra il suo sigaro ancora acceso e la mano destra che impugna la pistola con la quale si è sparato un colpo alla tempia destra. Muore così, a soli 37 anni, il nostro concittadino, giornalista eccezionale e garibaldino coraggioso. Muore anche il suo sogno: un giornale tutto suo che dopo appena quattro mesi, senza gli aiuti economici promessi, non è in grado di sopravvivere e cessa quindi le pubblicazioni. Importanti firme del giornalismo compaiono tra le pagine del Monitore ma nella Roma del tempo erano tanti i giornali politici e pertanto non molti si accorsero di questa nuova testata. Il giornale è ben fatto, il direttore è il migliore che c’è sulla piazza ma poche le copie vendute, molti i debiti, vita difficile per il giornale: fornitori, tipografi  aspettavano Fedele  tutte le mattine dietro la porta ed egli cercava di far fronte alle necessità. Il Monitore propugnava la fusione del partito liberale con il monarchico e voleva che “si raccogliessero i volenterosi intorno ai capaci, non guardando da che opposti punti partono, perché diverse vie arrivano al punto d’incontro”.

Fedele Albanese

Siamo in pieno Risorgimento e questo sublime esempio di  giornalista e di garibaldino  nasce a Galatina il 18 ottobre del 1845 dal barbiere Pietro e da Anna Angelini. Dopo gli studi  presso le Scuole Pie e il locale Liceo “P. Colonna”, grazie ad un esame superato brillantemente, vince la prima borsa di studio della provincia e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza presso l’università di Napoli. Nella città partenopea apprende la notizia della spedizione del Tirolo organizzata da Garibaldi e, deciso più che mai, indossa la camicia rossa e si arruola nel reggimento “Chiassi”,  il 13 luglio 1866 si batte sul Monte Suello, il 16  a Condino e il 20 si distingue, valorosamente, a Bezzecca .

Torna a Napoli per riprendere i suoi studi ma già l’anno dopo (1867),  col grado di sergente, è ancora tra i garibaldini, guidati dal patriota calabrese Giovanni  Nicotera, nel Lazio  a combattere contro i papalini e i francesi., e ancora  a Monte Monocchi, a Neroli, a Villa Glori e il 3 novembre è a Mentana.

Torna ancora a Napoli dove si laurea l’8 agosto 1868, non per esercitare la professione ma per battersi tra le pagine dei giornali e in politica, infatti il 20 settembre 1870 l’esercito sabaudo-piemontese libera Roma dal potere pontificio e Fedele Albanese  fu tra i primi, come giornalista, con la divisione di Mazè de La Roche, a varcare la  breccia di Porta Pia aperta dai cannoni di La Marmora;  con lui gli amici Ugo Pesci, Edmondo De Amicis, Edoardo Arbib.

Il giorno dopo, al PICCOLO di Napoli, arrivano le corrispondenze di Fedele e per questo viene chiamato a “LIBERTA’” per scrivere di politica estera tanto che il redattore del Temps di Parigi sostiene che egli sarebbe divenuto il primo giornalista d’Italia. Ma la nostalgia per Napoli lo      porta nuovamente al “Piccolo”, da qui alla “Sentinella”, all’”Italia” di Francesco De Santis, all’ ”Unità Nazionale” di Ruggero Borghi e alla ”Nuova Patria” .

Nel 1872 è a Roma dove gli amici Silvio Spaventa e Giuseppe Pisanelli lo fanno entrare al Ministero di Grazia e Giustizia con il compito  di segretario del ministro De Falco, ma quando a quel ministero approda Vigliani questi lo licenzia per vendicarsi di alcuni ottimi articoli scritti da Fedele sull’amministrazione della giustizia. Da qui passa all’ufficio statistica del Ministero delle finanze e Casalini gli chiede se sa leggere e scrivere ed egli gli risponde: ”Leggere, si; scrivere come Alessandro Manzoni, no, ma…”. E’ inutile sottolinearlo,  non è assunto!!.

Breccia di Porta Pia

Nella sua Galatina torna nel 1874, per le elezioni generali, e nella vicina Lecce c’è quell’ Angelo Lo Re, direttore del bisettimanale “La Gazzetta di Terra d’Otranto”, giornale moderato del movimento popolare della  provincia con 1500 copie,  che sostiene  il De Donno, ed invita il già affermato galatinese alla direzione del giornale. Sotto la sua guida il giornale somiglia molto più ad un giornale da capitale e non da provincia. Il successo fu tanto e tale che i redattori de “Il Progresso”, giornale che esce per i tipi di Del Vecchio,  attraverso le loro pagine insultarono Fedele Albanese ed ecco come egli risponde:” Il Progresso chiama me  “rifiuto della stampa napoletana”. Il Progresso è nato ieri ed i suoi scrittori novellini hanno il diritto d’ignorare la storia della stampa italiana. S’affrettino ad impararla, vedranno che parte io v’abbia avuto per otto anni, e che parte v’abbia tutt’ora; vedranno che io, non solo dei moderati, ma godo l’amicizia dei più autorevoli scrittori dell’opposizione. Uno dei quali, il redattore del Pungolo invoca testè la mia testimonianza nel processo, non ancora finito, contro il questore C… e l’invoca non perché io avessi notizia particolare dei fatti controversi, ma perché la mia sola opinione intorno ai fatti stessi dovesse essere di grave peso sull’animo dei giudici”.

Finita tale esperienza viene nominato Ispettore scolastico dal ministro Bonghi a  Mirandola, ma non lascia la stampa perché si accorge che la sua vita è tra le redazioni dei giornali e il “Fanfulla” in quel momento è uno dei giornali più significativi, ha macchine moderne, tante rubriche e ciò che più conta è che è diretto da Baldassarre Avanzino, che non ama la sinistra, non ama i radicali e soprattutto i garibaldini. Il giornale si occupa, in particolare, di tutto ciò che accade in Italia in Parlamento, ed in generale,  nel mondo.

L’Italia deve al nostro concittadino la nascita dell’ASPI (associazione stampa periodica italiana) grazie al suo duello con il genero del guardasigilli Pasquale Mancini.

Nel maggio 1877 il Ministro di Grazia e Giustizia, Mancini, propone la legge sugli abusi del clero. Al Fanfulla e ai suoi redattori non piace così come non piacciono i radicali e non piace il deputato Augusto Pierantoni. Il giornale dopo la bocciatura della legge chiede con forza le dimissioni del Ministro. Fedele Albanese, con lo pseudonimo di Qualunque, era il resocontista da Montecitorio, l’articolo esce con questo scritto:” l’onorevole Pierantoni folleggia di settore in settore in cerca di colleghi curiosi. Ma nessuno lo interroga donde venga . vi dirò io che viene dalla Puglia estrema dove ha fatto il difensore del processo Chiriatti, e che s’è fatto un grande onore nella pubblica discussione. In questa circostanza egli ha fatto sapere alla corte e al pubblico che il Conte di Cavour lo invita alle sue feste. Feste che dovevano essere date a tutto beneficio de l’on. Pierantoni perché il Conte di Cavour per gli altri suoi amici non ne dava mai.”

Tutte le testate giornalistiche danno la stessa versione mentre l’on. sostiene il contrario. La CAPITALE scrive qualche giorno dopo che l’on, si è recato in sala stampa e trovato Fedele lo schiaffeggia. Si grida all’aggressione, all’offesa della libertà di stampa e si sfidano ad un duello con la sciabola. Lo scontro si concluse quasi subito con Fedele ferito all’avambraccio. Tutti si chiesero, comunque, se quelle parole, al processo Chiriatti, Pierantoni le avesse dette. I direttori delle testate romane si riuniscono e votano all’unanimità l’inizio della protesta. I redattori del Times, del Daily News, del New York Times, dello Standard, del Tossiche Zeltung, del Morning Post esprimono solidarietà ai colleghi; il presidente della camera deplora che tutto sia accaduto in parlamento. L’articolo di Fedele Albanese viene pubblicato tutti i giorni; tuuti i giorni ci sono assemblee fino a giungere alla nascita dell’ASPI. L’anno dopo con Luigi Cesana, comproprietario del Fanfulla, fonda un nuovo giornale: è l’8 dicembre 1878. esce a Roma IL MESSAGGIERO, con la i, ha un formato ridotto, indipendente dai partiti, ,larga tiratura. E’ un successo, e lui è il primo direttore. Lo è solo per tre mesi, dopo un periodo non certo facile il 1° novembre 1881 trasforma il suo sogno in realtà: IL MONITORE. Giornale ambizioso, diverso, ben fatto, le firme più importanti sulle sue colonne ma non attirò la curiosità dei romani. Per due mesi Albanese mantenne testa ai fornitori ma per i molti debiti e le poche copie vendute egli presagiva la fine. Soleva ripetere agli amici che il giorno in cui il giornale avrebbe cessato di vivere, egli sarebbe morto con esso. Mantenne la parola dopo aver combattuto con energia una lotta aspra per mantenere in vita il suo giornale, abbandonato da tutti coloro che avrebbero potuto aiutare, nel suo ufficio scrive la parola fine sul suo giornale. Troppo orgoglioso e altero il figlio di un proletario , ma, al contempo sincero, fiero, indipendente a tal punto da non piegarsi alle connivenze. L’ultimo numero esce listato a lutto, dedicato alla memoria del suo direttore che piuttosto che scendere a compromessi aveva preferito la morte. Ma i ben informati del tempo ipotizzarono che il direttore del Monitore si fosse ucciso per un amore non corrisposto da parte di donna Matilde Serao, nei mesi seguenti” fu arduo appurare se davvero l’ombra di un uomo amato ( qualcuno vede il nostro Fedele) del cui sentimento era corsa voce a Napoli, infestasse la memoria di lei”. E lei, che tanto ne ammirava l’ingegno, lascia un affettuoso ricordo nelle Lettere a Febea; il fascio di camelie bianche ai suoi funerali sono di Sarah Bernhardt  e Sansonetti ebbe a dire: “Provo quasi rimorso per averlo iniziato nel giornalismo”,  e lo accompagna al Verano.

Il Monitore

All’amico Antonio Romano di Galatina aveva spedito una lettera in cui era scritto. “ Il Monitore muore ed io con lui. Dì a mio padre che io parto per l’America”.

Oggi noi lo ricordiamo come persona onesta che giunge a  sacrificare la sua esistenza per l’ideale, persona in cui penna, parola ed idee non si sono mai contraddette e rendiamo omaggio alla sua onestà e correttezza fieri di averlo avuto come cittadino.