TRA SACRO E PROFANO

Miracoli, leggende e curiosità nella tradizione religiosa popolare salentina

di Antonio Mele ‘Melanton’

C’era una volta la fede. La fede religiosa assoluta e sincera, accompagnata dalla devozione e dalla cadenza rassicurante dei riti, dalla partecipazione popolare, dal sentimento, dalla pietà, dalla gioia di credere.

Era la fede dei nostri padri. Delle nostre preghiere di bambini, pazientemente insegnate da mamme, nonne, zie o sorelle maggiori, che non si dimenticano più. Una fede solida e antica, specchiata nell’antica e solida civiltà contadina, che al cielo come alla terra legava le speranze e il destino.

Oggi questi parametri millenari quasi non esistono più. Tutto è cambiato, com’è nell’ordine delle cose, e non dico in peggio né meglio: ognuno che conservi quella memoria ha anche il proprio autonomo pensiero, e il cuore, per ricavarne liberamente le diverse e commisurate riflessioni.

In questa sede, d’altronde, l’obiettivo è semplicemente quello di proporre alla lettura piccole curiosità – inedite o puramente dimenticate –, che riguardano alcuni aspetti insoliti, singolari e perfino ingenui, facenti certamente parte della nostra cultura, e che riguardano più da presso l’antropologia e il folclore salentini, in un meditativo rapporto con usanze e leggende a carattere religioso, ed anzi contendenti tra il sacro e il profano.

I nostri paesi e le nostre contrade sono autentiche miniere di storia e di leggende, e non c’è luogo a Finibusterrae che non sappia regalarci il fascino del racconto.

Castrignano de’ Greci, ad esempio. Il cui patrono e protettore è “Sant’Antoni crande”, vale a dire sant’Antonio da Padova, considerato evidentemente maggiore (se non altro per numero di devoti), rispetto all’altro sant’Antonio, l’abate, detto anche “de lu focu”, o “de lu porcu”, che pure nel Salento, e specialmente a Novoli, ha i suoi fedelissimi seguaci.

A Castrignano de’ Greci sant’Antonio da Padova non si festeggia il 13 giugno, com’è tradizione, bensì il 23 agosto, per ricordare il miracolo del Santo, che proprio in questo giorno, nell’anno del Signore 1895, salvò prodigiosamente il paese dalla minaccia di una terribile e incombente tromba d’aria, che riuscì a disperdere senza alcun danno nella pianura circostante.

Molto più particolare è un altro miracolo che, sempre a Castrignano de’ Greci, intorno al 1730, ebbe come protagonista un contadino vecchio e storpio, di nome Donato Cosma, il quale con estrema fatica riusciva a trascinarsi ogni mattina nel suo piccolo orto, in località “Arcona”, per attendere a piccoli lavori agricoli. Lì, il vecchio e pio contadino trovava anche il tempo per pregare, rivolgendo le sue suppliche ad una Madonna col Bambino, raffigurata in un antico dipinto di scuola bizantina, che da tempo immemorabile giaceva abbandonato fra le pietre e le sterpaglie del campo.

Un fatidico giorno, al devotissimo Donato apparve proprio quella Madonna col Bambino la quale, per premiarlo di tanta devozione, lo guarì finalmente della sua infermità, chiedendogli altresì di avere nello stesso luogo una cappella a lei dedicata, con funzioni di ricovero per quell’immagine sacra che nessuno curava più. Fu così che il contadino raggiunse di corsa il paese, raccontò a tutti della prodigiosa visione, accompagnò il parroco e una folla di fedeli sul posto del miracolo, e qui fu poi edificata una chiesetta (oggi attigua al locale cimitero), che sull’altare maggiore conserva appunto quel vecchio dipinto bizantino raffigurante la Madonna detta dell’Arcona, effigie da allora assai venerata in tutto il territorio.

In un documento del tempo si legge: “…eravi nel luogo un’immagine della Beata Vergine della Grazia, che dicevasi della Arcona, dipinta entro un concavo di pietra, visitata da diversi di nostri, dicendo preci avanti la Sacra Immagine (…) e vi furono molti che ne ricevevano grazie particolari come fu il primo Donato Cosma, che era stroppio e camminò libero. E accorsivi altri accaggionati di molti malori ne furono istantaneamente liberati, così di questa terra, come di altri paesi della provincia e fuori…”.

La devozione alla Madonna dell’Arcona (per alcuni “arcona” ha il significato di regina, per altri potrebbe essere la volgarizzazione di icona) è sempre molto intensa, tanto che ancora oggi sono numerose le donne che a Castrignano de’ Greci portano appunto il nome di Arcona o Maria Arcona.

Certamente più noto (e sempre divertente) è il seguente apologo campanilistico, che  ci narra una volta di più della contrapposizione degli abitanti di Galatone con quelli della vicina Nardò.

I galatonesi, che invidiavano oltre misura ai neretini il famoso Crocifisso ligneo detto Cristu gnoru (Cristo nero) conservato nella Cattedrale, decisero un giorno di non essere da meno dei loro vicini, e approfittando di una sorprendente e copiosa nevicata, approntarono con la neve un maestoso Cristu jancu (Cristo bianco). Ultimata l’opera, gli ineffabili artefici infilarono il candido Crocifisso in un forno ben caldo, in modo che, com’era nei loro auspici, la scultura si consolidasse. All’apertura del forno, e fortemente delusi dalla conseguente e ovvia liquefazione del loro… capolavoro, i maldestri artisti non poterono far altro che commentare sconsolatamente: “Si ‘ndi cacò, si ‘ndi pisciò, si ‘ndi ulò!” (Se l’è fatta addosso, e se n’è volato via!).

Inutile aggiungere che la beffarda storiella è stata inventata e messa ad arte in circolazione dai neretini, come perenne “pesce d’aprile” per i loro amici-nemici di Galatone…

Sempre a proposito di campanilismo – e spostandoci nel nord Salento – davvero insolita appare la questione tra Ceglie Messapica e Martina Franca: un contenzioso, peraltro, sollevato nientemeno che da san Rocco in persona!

Ceglie_Messapica

Bisogna intanto precisare che a Ceglie Messapica, benché il patrono ‘principale’ sia sant’Antonio da Padova, il culto maggiore, da almeno mezzo secolo, è riservato proprio a san Rocco, pellegrino di Montpellier, che nelle nostre terre pare sia davvero venuto intorno al 1370, per imbarcarsi da Brindisi e raggiungere la Terra Santa. In questo suo viaggio nella penisola salentina, egli toccò anche Martina Franca, dove però fu trattato incivilmente e addirittura scacciato in malo modo, tanto che dovette riparare prima a Oria e subito dopo a Ceglie. Qui, contrariamente all’inospitalità riscontrata a Martina, Rocco ebbe un’accoglienza affabile e cordiale, tanto che quando il pellegrino francese fu santificato, la popolazione cegliese lo nominò compatrono della città, costruendo appositamente una chiesa a lui dedicata.

Questa chiesa, tuttavia, dovette essere più volte restaurata e riedificata, a causa dei ripetuti e inspiegabili crolli a cui era soggetta. Il mistero fu finalmente spiegato dallo stesso san Rocco il quale, andato in sogno alla perpetua del curato, le rivelò che era egli stesso a provocare i crolli, perchè la chiesa aveva la facciata rivolta verso l’insopportabile Martina Franca! Sicché, quando nel 1888 fu deciso di costruire in onore di san Rocco una nuova chiesa, molto più grande di quella vecchia, l’architetto ebbe l’ordine categorico di non posizionare in direzione di Martina la facciata, ma semmai il retro, l’abside.

Come difatti è.

ORIA-Statua_di_san_Barsanofio

A conferma della ‘permalosità’ di alcuni Santi va infine raccontato quanto avvenne, in una certa occasione, a Oria.

Il patrono di questa nobile e antica città è un Santo poco conosciuto, san Barsanofio, il cui culto ebbe origine nell’anno 873, quando le sue reliquie, secondo la leggenda, furono traslate qui dall’Oriente, ad opera di due monaci palestinesi, deposte in una chiesa fuori le mura, scavata nella roccia, e dopo circa tre secoli trasferite nella Cattedrale.

San Barsanofio ha sempre svolto più che degnamente il proprio dovere di patrono-protettore: in tempo di carestia ha fatto miracolosamente apparire carri carichi di grano; si è manifestato più volte sulle mura della città per spaventare e sconfiggere i nemici durante gli assedi; ha guarito nei secoli una moltitudine di infermi; ha preservato Oria dal terribile terremoto del 1743…

È più che legittimo, quindi, attendersi un minimo di devozione e gratitudine dai suoi fedeli oritani. I quali, invece, nel corso degli anni, si sono affezionati sempre più ai compatroni della città, i Santi Medici (Cosimo, Damiano, Eupremio, Leonzio, Antimo), dandone risalto con una spettacolare processione delle cinque statue, che in primavera attraversano tutta la città in un delirio di gente e di festa.

Alla processione oggi partecipa anche la statua di san Barsanofio, ma inizialmente ne era esclusa, con grande rammarico, naturalmente, del Santo patrono, che non poteva permettere un simile affronto. Mai e poi mai, infatti, si poté svolgere la cerimonia religiosa senza di lui: cronaca, storia o leggenda che sia, la processione fu sempre disturbata e bloccata sul nascere da temporali, tuoni, fulmini e violente grandinate. Finché gli ingrati e cocciuti fedeli capirono che era meglio tenersi buono anche il vecchio e giustamente permaloso patrono, ammettendolo alla processione, che da allora si svolge infatti regolarmente, in un tripudio di sole.

Da qui, peraltro, è facile capire quanta ragione ci sia nel celebre detto: “Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi!”. Amen.