Il 1943 per le forze armate italiane fu un anno disastroso per gli innumerevoli insuccessi sui vari fronti di guerra. Al contrario il S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) in quell’anno, ma anche nell’anno precedente, riscosse notevoli successi sia con la cattura di numerose spie di varie nazionalità operanti sul territorio italiano, sia per il notevole flusso di informazioni che riceveva dai propri agenti segreti sparsi in territorio nemico.

Probabilmente questi successi erano dovuti anche al fatto che i servizi segreti delle forze alleate, visto l’andamento favorevole della guerra, avevano allentato la morsa e messo da parte ogni precauzione consentendo agli agenti segreti italiani di cogliere numerosi e insperati successi.

Tra le tante informazioni che gli agenti segreti italiani fecero pervenire al SIM quella trasmessa dall’agente  “D65” suscitò l’attenzione del responsabile delle Operazioni Medio Oriente.

“D65”, trasmettendo da Alessandretta in Turchia, segnalava che nei porti di Alessandretta e Mersin bastimenti nemici svolgevano una intensa attività di carico di minerali di cromo, metallo essenziale per la produzione bellica.

L’agente segreto informava anche che a causa dei bassi fondali le navi erano costrette ad ancorarsi al largo e che il prezioso carico veniva dapprima caricato su grosse zattere e poi trasportato sottobordo alle navi per essere imbarcato. Inoltre riferiva che le navi non adottavano alcuna misura di protezione e quindi potevano tranquillamente diventare bersaglio di un sommergibile.

Il servizio segreto italiano non ritenne opportuno dislocare in zona uno dei pochi sommergibili che ancora rimanevano e segnalò a “D56” che avrebbe mandato ad Alessandretta un agente segreto con la qualifica di segretario aggiunto al consolato con cui avrebbe dovuto avere un primo contatto ad Instambul.

Il giorno convenuto in un modesto albergo di Instambul si incontrarono il segretario del consolato di Alessandretta, Giovanni Riccardo alias  l’agente segreto “D56”, Luigi Vespa, capitano dei carabinieri del SIM e Luigi Ferraro uno dei più esperti sommozzatori dei mezzi d’assalto della Marina appartenente al “Gruppo Gamma”1.

Luigi Ferraro

Le  autorità militari, ritenendo che Luigi Ferraro, Sottotenente di artiglieria, uomo coraggiosissimo e spregiudicato, dal fisico imponente e subacqueo d’eccezione, fosse sprecato come artigliere, si erano prodigate affinchè fosse trasferito nel “Gruppo Gamma”.

 Mai il nostro uomo avrebbe pensato di diventare un giorno agente segreto e, quando fu indottrinato sull’incarico che gli stavano affidando, accettò con entusiasmo e senza alcun tentennamento.

I tre agenti segreti incontratisi ad Instambul concordarono un piano strategico. Il capitano Vespa avrebbe rag- giunto Alessandretta separatamente da Ferraro e Riccardo, si sarebbe tenuto nascosto e nell’ombra avrebbe sorvegliato che nessuno potesse intralciare le azioni di sabotaggio che gli altri due avrebbero messo in atto.

Grazie al passaporto diplomatico Luigi Ferraro raggiunse il Consolato Italiano ad Alessandretta con quattro grandi valigie contenenti otto ordigni esplosivi, in gergo marinaresco chiamati “bauletti” e pesanti 12 Kg. ognuno, e tutta l’attrezzatura necessaria ad un nuotatore d’assalto.

Come era facile prevedere, l’arrivo del nuovo inquilino del consolato italiano non passò inosservato ai funzionari e agli informatori degli altri consolati, che lo tennero a lungo sotto controllo. Tale controllo fu molto semplice, facilitato dal fatto che il consolato inglese, quello tedesco e quello inglese erano ubicati a pochi  metri di distanza l’uno dall’altro, mentre quello americano, greco e francese erano un po’ più distanti, ma comunque tutti sulla stessa via e di fronte al mare da cui erano separati solo dalla strada. Questa vicinanza permetteva agli agenti segreti di ogni paese di controllarsi a vicenda.

Sul conto del nostro Ferraro non trapelò nulla tranne  che era stato inviato ad Alessandretta grazie all’intervento di suo padre, un pezzo grosso del partito, con l’intenzione di tenerlo lontano dai pericoli del fronte, praticamente un raccomandato di ferro o come direbbe la ex ministro Fornero “un bamboccione”.

Da parte sua Ferraro non fece nulla per smentire questa opinione conducendo  una vita normale, partecipando alle feste e agli incontri organizzati dai vari consolati, giocando lunghe partite a bridge e a bocce, corteggiando le ragazze da marito, ma, soprattutto, non facendo intuire le sue abilità natatorie, fingendo, da attore consumato, di avere poca dimestichezza con l’elemento liquido, arrivando persino a far finta di affogare, annaspando in maniera molto goffa quando un connazionale lo spinse giù da un imbarcadero proprio di fronte al consolato inglese.

Il Ferraro ogni pomeriggio si recava in spiaggia portando con sé una grossa sacca in cui riponeva un telo da mare e alcuni attrezzi ginnici adatti più a dei ragazzini. Era un uomo alto un metro e ottantacinque con le spalle larghe quanto un armadio, raggiungeva dapprima la sua cabina personale, si cambiava e, dopo aver steso il telo sulla sabbia, si cimentava in quegli esercizi ginnici che erano tanto apprezzati dal Duce e propagandati dal regime. Terminati gli esercizi, si stendeva al sole e all’imbrunire, dopo essersi cambiato in cabina e aver riposto gli attrezzi nella sacca, faceva ritorno al consolato per la cena.

Due mesi dopo il suo arrivo nella città turca per Ferraro arrivò finalmente l’ora di passare all’azione.

Il pomeriggio del 30 giugno il nostro finto diplomatico raggiunse come di consueto la cabina sul mare portando con sé la solita capiente sacca. Nessuno poteva sospettare che insieme alle clave, manubri, palloni ginnici Ferraro trasportava l’attrezzatura per l’immersione e due ordigni esplosivi dal peso ciascuno di 12 kg. Dopo aver occultato in cabina questo materiale, Ferraro raggiunse la spiaggia, fece i suoi esercizi ginnici, prese il sole come ogni giorno e al tramonto rientrò alla base.

A tarda sera, approfittando delle tenebre, Ferraro raggiunse la cabina non visto. Indossò la tuta “gamma” di color nero, si tinse il viso con la crema nera per le scarpe e, dopo aver assicurato alla cintura i due “bauletti”, si diresse a nuoto verso l’obbiettivo prescelto: la nave greca “Orion” da 7.000 tonnellate al servizio degli inglesi alla fonda a circa 2.500 mt. dalla spiaggia.

La nuotata di Ferraro era lenta e ben ritmata. Non doveva assolutamente arrivare affaticato o affannato sull’obbiettivo. Ogni tanto la luce di un riflettore spazzava la superficie dell’acqua, ma era molto difficile per le sentinelle avvistare il sabotatore nemico aiutato nell’occultamento da una leggera increspatura del mare dovuta alla brezza.

Raggiunto l’obbiettivo senza essere individuato dalle assonnate sentinelle Ferraro si immerse sotto la fiancata della nave sino a raggiungere l’aletta antirollio. Qui fissò il primo ordigno con la grande perizia che gli derivava da lunghi e collaudati allenamenti, tolse lo spillo di sicurezza e, passando sotto la chiglia, raggiunse l’aletta antirollio sull’altro lato del bastimento. Rifece le stesse operazioni fatte qualche minuto prima e poi, nuotando sott’acqua, si allontanò per riemergere silenziosa- mente un centinaio di metri più in là.

La luce accesa di due finestre del consolato lo guidarono verso il punto di approdo che raggiunse verso le tre del mattino. Aiutato da “D56” raggiunse la cabina, si cambiò rapidamente, nascosero l’attrezzatura, attraversa- rono la strada e raggiunsero il consolato.

Quando ebbero richiuso dietro di loro il pesante cancello dall’ombra si materializzò l’ombra di un uomo, costui si fermò di fronte al consolato e, dopo aver  acceso una sigaretta, riprese il suo cammino svanendo nell’ombra così come era comparso. Era il capitano dei carabinieri  Vespa che durante le operazioni di sabotaggio, abilmente celato,  aveva “coperto” le spalle ai due agenti segreti.

Qualche giorno dopo, ultimate le operazioni di carico, la Orion prese il largo, ma non raggiunse mai la destinazione. Infatti quando poche ore dopo raggiunta la velocità di 5 miglia orarie2 gli ordigni esplosero e la nave affondò in pochi minuti. I naufraghi recuperati da un caccia inglese e ricondotti ad Alessandretta raccontarono di essere stati silurati da un sommergibile.

Modello di bauletto

Una quindicina di giorni dopo l’agente “D56” ebbe notizia che nel vicino porto di Marsin era attraccato l’incrociatore ausiliario3 inglese “Kaituna” da 12.000 tonnellate e ne parlò con Ferraro. I due convennero che valeva la pena tentare e così, con la scusa di incontrare il barone Aloisi, console di Mersin, raggiunsero Abana in treno e successivamente Mersin in automobile preceduti da un corriere diplomatico a cui era stato affidato il compito di trasportare l’attrezzatura subacquea e due dei rimanenti sei ordigni esplosivi.

L’operazione ebbe successo. Quando il “Kaituna” raggiunse il mare aperto, avvenne l’esplosione, ma la nave non affondò subito e il comandante riuscì a portarla in secca lungo le coste della Siria. Gli inglesi, con l’ausilio di alcuni rimorchiatori, riuscirono a recuperare l’incrociatore e a portarlo in bacino. Fu qui che si accorsero che l’esplosione non era stata causata da un siluro o da una mina ma da un sommozzatore in quanto una delle due bombe non era esplosa e fu ritrovata laddove Ferraro l’aveva collocata. Il “Kaituma” rimase comunque inutilizzato a causa dei gravi danni riportati all’apparato motore.

Il 30 luglio, ignaro di quanto gli inglesi avevano scoperto, Ferraro portò a termine una terza missione di sabotaggio. Questa volta il bersaglio fu la nave inglese da carico “Sicilian Prince” all’ancora 4.500 mt. dal punto di immersione. Nonostante fosse provato dall’enorme distanza il provetto sommozzatore collocò due ordigni esplosivi così come aveva fatto con l’Orion, ma le autorità portuali turche, messe in allerta dagli inglesi per quanto era avvenuto al “Kaituma”, prima della partenza fecero ispezionare la carena e i due ordigni vennero trovati e disinnescati da palombari specializzati.

Al Ferraro rimaneva ormai solo una coppia di bombe. La notte  del 2 agosto ad essere minata fu la nave norvegese “Fernplant” da 7.000 tonnellate. Due giorni dopo la nave partì per la sua destinazione, ma dopo qualche ora di navigazione invertì la rotta e tornò ad Alessandretta. Vedendola tornare i nostri agenti calcolarono che la sua velocità era superiore alle 5 miglia orarie e si aspettavano che la nave sarebbe saltata in aria da un momento all’altro. Così non avvenne. La “Fernplant” ripartì nel tardo pomeriggio del 6 agosto per saltare in aria in mare aperto di fronte alle coste siriane.

A quel punto per Ferraro, rimasto ormai disarmato, giunse l’ora di rientrare in Italia. Ma come fare a non destare sospetti? L’agente “D56” fornì al nostro sub una pastiglia consigliandogli di prenderla con un po’ di acqua. La pastiglia gli procurò i sintomi della malaria e il medico turco che lo visitò gli consigliò di cambiare aria e di rientrare immediatamente in Italia. Gli agenti del consolato inglese che si servivano del medico come spia furono immediatamente informati sul cattivo stato di salute del “bamboccione” e non sospettarono nulla sul suo immediato rientro in Patria.

Al termine del conflitto, smessi i panni militari, Ferraro rimase nel campo della subacquea e si occupò del recupero di navi affondate, collaborò con la Cressi Sub come direttore generale realizzando la maschera Pinocchio e le pinne Rondine, fondò la prima scuola sportiva subacquea presso l’Isola d’Elba e organizzò a Genova la scuola per sommozzatori  professionisti dei Vigili del Fuoco, Carabinieri e Guardia di Finanza.

Nel 1951 Luigi Ferraro, l’affondatore solitario, fu decorato con medaglia d’oro al valor militare e il suo “record”, tre navi affondate da un solo uomo,  non è stato mai battuto.

NOTE:

  1. Il Gruppo Gamma era un gruppo speciale di nuotatori d’assalto, provenienti della Regia Marina italiana, dal Regio Esercito e dalla MVSN addestrato in gran segreto presso Varignano (La Spezia), che si rese protagonista di vari attacchi, molti dei quali riusciti, alle forze navali alleate durante la seconda guerra mondiale. I pochi uomini che ne fecero parte compirono missioni ad alto rischio, conseguendo successi tali da modificare persino l’assetto strategico navale del Mediterraneo.
  2. Gli ordigni in dotazione a Ferraro erano tarati in modo che esplodessero quando la nave raggiungeva la velocità di 5 miglia orarie.
  3. Il Kaituma era una nave civile da carico armata contraddistinta dalla sigla internazionale AMC, Armed Merchant Cruiser, letteralmente incrociatore armato mercantile. Il termine si riferisce specificatamente agli incrociatori ausiliari della marina inglese durante la seconda guerra mondiale. Il loro impiego era prevalentemente di scorta ai convogli, posamine e interdizione dei commerci via mare e agivano in pratica come navi corsare.