MATILDE SERAO

Grande figura di donna, di scrittrice, di giornalista e di madre

 MATILDE SERAO

di Bruna Bertolo e Rino Duma

Matilde Serao

Di giornalismo vero e proprio al femminile si può parlare probabilmente solo a partire dagli articoli di Matilde Serao, considerata come la prima vera giornalista italiana. Con Matilde Serao la qualifica di giornalista acquista un significato più profondo, più legato alla concezione attuale della parola giornalismo.

Matilde Serao, nata a Patrasso nel 1856, figlia di Francesco Saverio, un profugo politico napoletano e di una greca, Paolina Borrely, arrivò nel 1860 a Napoli, dove si svolse gran parte della sua vita. A Patrasso rimase soltanto sino all’età di tre anni, a causa della vita povera, randagia e febbrile di suo padre, costretto a cambiare spesso consuetudini e residenza per il suo impegno politico. Dopo il diploma magistrale ottenuto nel 1874, ebbe un curioso periodo di inserimento nel mondo del lavoro come telegrafista fino al 1877. Un’esperienza importante nella sua vita che le suggerirà in seguito un libro dedicato al mondo delle telegrafiste.1

Ma la sua passione è la scrittura e già nel 1876/77 ecco il suo debutto nel mondo della carta stampata presso il “Giornale di Napoli” ed altre testate.

Osserva Elisabetta Rasy: “Che Matilde fosse una donna eccezionale […] se ne accorse persino una signora snob come la scrittrice americana, ma europea per scelta e per gusto, Edith Wharton, la pupilla di Henry James. Quando, negli ultimi anni della Grande Guerra, la incontrò nell’elegante e selettivo salotto parigino di Madame Fitz-James, la Wharton non esitò a definirla nel suo diario «una donna tozza e grossa, rossa in faccia e sul collo», riconoscendo però che quando prendeva la parola era capace di raggiungere punte che l’americana cosmopolita e chic non aveva mai rilevato nei discorsi delle altre donne. Perché – dice – in Matilde «cultura e esperienza erano fuse nello splendore di un forte intelletto».”2

Nella sua vita scrisse di tutto e di tutti: articoli, racconti, romanzi, raccontando ed interpretando lei stessa la straordinaria evoluzione del mondo femminile tra Ottocento e Novecento. Fin da ragazzina, aveva respirato l’aria un po’ libera e scanzonata delle redazioni dei giornali, al seguito del padre Francesco, giornalista senza troppi guadagni presso “Il Pungolo”. Un ambiente, quello dei giornali, che la affascinava, così come innata sembrò la sua passione per la scrittura.

Ad un certo punto lasciò Napoli, per tentare di dare una svolta diversa alla sua vita. Eccola a Roma. Qui andò ad abitare in un appartamentino non lontano dal centro: c’è in questa coraggiosa decisione il desiderio di un riscatto sociale, il desiderio di seguire i suoi sogni e di fare della scrittura la sua vera vita, il suo futuro. Quasi come una protagonista di uno dei suoi tanti romanzi. È la redazione di “Capitan Fracassa”, che comincia a frequentare con assiduità e di cui diventa collaboratrice fissa e quindi redattrice, a fornirle linfa vitale per capire che questa è la strada giusta. È un fatto nuovo nella storia del giornalismo: è vero che prima di lei altre autorevoli penne femminili avevano scritto sui giornali, ma la loro era una semplice occasionale collaborazione. La Serao diventa invece una redattrice fissa, con l’incarico di scrivere e preparare “servizi”. Non è l’unico giornale per cui scrive. Anche “Il Fanfulla della Domenica” e “Cronaca Bizantina” accolgono i suoi pezzi, mentre il suo nome circola con sempre maggior frequenza: la quotidianità, la politica, il costume, la diffusione di nuove idee, diventano gli argomenti dei suoi “pezzi”.

Poi l’amore entra nella sua vita: è un giornalista. Si chiama Eduardo Scarfoglio. Il primo incontro avviene dopo una recensione, a dir la verità, poco lusinghiera che il giornalista ha scritto sul suo romanzo Fantasie (1883). È una coppia che fa discutere nell’ambiente romano: lei, così poco avvenente, lui, così bello ed elegante. Si conobbero nella redazione di “Capitan Fracassa” ed iniziò un rapporto d’amore, burrascoso e controverso eppure duraturo e saldo per certi versi, che divenne anche un vero e proprio sodalizio professionale. Si sposarono nel 1885 e fondarono insieme un nuovo giornale, il “Corriere di Roma” che chiuderà dopo soli due anni, a causa di gravi difficoltà finanziarie.

L’incontro con il banchiere livornese Matteo Schilizzi, che viveva a Napoli, cambiò sicuramente il loro destino. Il banchiere, proprietario del “Corriere del Mattino” propose loro di tornare a Napoli per collaborare con il suo giornale. Dalla fusione delle due testate, nacque il “Corriere di Napoli”, prima uscita il I° gennaio 1888, collaboratori importanti come Giosuè Carducci e Gabriele d’Annunzio. Ma il sodalizio con Schilizzi durò poco. Si prospettavano altri importanti e autonomi progetti. Matilde e marito lasciarono infatti il “Corriere” per fondare il “Mattino di Napoli”, che sarebbe diventato uno dei maggiori quotidiani del Sud: Scarfoglio ne era il direttore e lei la condirettrice. Cinque figli (la primogenita purtroppo nacque morta), un vivere insieme fatto di progetti, di successi, di disastri, di gelosie e di litigi per le troppe infedeltà di Scarfoglio, ma anche di difese reciproche nel momento della necessità. E di tante pagine scritte, con la passione per il mondo del giornalismo affrontato in tutte le sue sfumature.

La popolarità della Serao aumentò grazie alla sua spumeggiante rubrica “Api, Mosconi e Vespe” (semplicemente “Mosconi” sul “Mattino”): un nuovo genere, fatto di cronaca spicciola popolare e mondana, che rappresentava la vita cittadina con spunti arguti, capaci di suscitare l’interesse e la complicità del lettore. In parallelo cresceva anche la sua fama di scrittrice: una narrativa che prediligeva figure appartenenti agli strati sociali più derelitti, un ceto medio spesso umiliato, donne sul viale del tramonto, rappresentate con un gusto visionario. Circa 40 romanzi nella sua prolifica attività.

Matilde Serao con Francesca Bertini sul litorale di Viareggio

La fine del matrimonio con Scarfoglio non significò affatto la fine della sua attività giornalistica: al contrario. Le diede forse la forza necessaria per affrontare i rischi in modo personale, con quella capacità di lottare che ne fu una caratteristica per tutta la vita. L’epilogo del matrimonio fu tragico: un’amante di Scarfoglio, la cantante Gabrielle Bessard, un giorno bussò alla porta, lasciò sulla soglia una bimba e si sparò. Morirà poco dopo agli Incurabili. La Serao adottò la bambina dandole perfino il nome della madre, ma si separò dal marito nel 1902. Lasciò quindi la direzione del “Mattino” per fondare prima una rivista letteraria e poi un nuovo quotidiano, “Il Giorno di Napoli”, di cui fu la direttrice e sul quale inaugurò una nuova rubrica di successo, intitolata “Il Paravento”. Anche in questo Matilde Serao fu una “prima donna” nella storia del giornalismo italiano: la fondazione del nuovo quotidiano e la sua direzione erano opera esclusivamente sua, anche se accanto a lei c’era ora un nuovo compagno. Ebbe infatti un intenso rapporto affettivo con un giornalista, l’avvocato Giuseppe Natale, ed una figlia, nata quando lei aveva già quarant’otto anni, chiamata Eleonora in onore della grande attrice ed amica Eleonora Duse.

La morte di Scarfoglio, nel 1917, permise a Matilde e Giuseppe di potersi poi sposare. Un giornale diretto da Matilde, con la consueta grinta, con la capacità di assumere posizioni, anche coraggiose. Fu quanto capitò, ad esempio, in occasione dello scoppio della Grande Guerra.

“Allo scoppio della Prima guerra mondiale, il «Giorno» mantenne una posizione di non intervento. […] Finita la guerra, il «Giorno» è l’unico giornale, insieme al «Mondo» di Amendola, a denunciare il pericolo del regime fascista, anche se, per non scontentare i lettori piccolo-borghesi favorevoli al nuovo regime, deve presto ammorbidire la sua polemica”.

Durante la guerra, diede il suo apporto fatto di piccole cose concrete a chi le stava vicino. Un aspetto poco conosciuto della grande giornalista raccontato da “La Stampa” in un articolo pubblicato il 26 luglio 1927: ” Matilde Serao, nei quattro anni di guerra, era ridiventata una semplice donna, una semplice anima femminile, una lavoratrice assidua all’uncinetto. Faceva calze per i suoi figliuoli e per quelli degli altri, scriveva lettere per la sua portinaia e per l’ultimo fattorino della sua redazione, offriva ai combattenti la sua mirabile energia, rinunziava alle quattro consuete ore serali di ricreazione e di riposo per scrivere ai combattenti e corrispondeva con una cosciente amicizia con Re in esilio e con regine detronizzate, con principesse e principi del sangue. Anche l’imperatrice Eugenia era in costante corrispondenza con lei. Anche Margherita di Savoia, alla quale la Serao dedicò molti articoli di devozione, le fu costantemente amica”.

Non fu simpatica a Mussolini che la temeva. Si dice che proprio questa ostilità al fascismo fu la causa della mancata assegnazione del premio Nobel alla famosa scrittrice giornalista nel 1926, assegnato invece a Grazia Deledda. Nel 1927, la Serao muore improvvisamente, sul tavolo di lavoro. Morì nella calda estate napoletana, il 25 luglio, colta probabilmente da infarto, mentre lavorava. Già in precedenza, aveva avuto un segnale inequivocabile che il suo cuore era sofferente. Reclinò la testa sul tavolo. Il giorno successivo, il suo giornale, “Il Mattino”, annunciò la sua morte con questo trafiletto: «Matilde Serao si è dolcemente spenta ieri sera nella sua Napoli, la città di cui aveva sposato le letizie e i dolori. Con lei passa lo spirito di una Napoli che già più non esisteva: quella che nella seconda metà dell’800 raccolse e capeggiò il movimento artistico e letterario italiano. Visse la vita di sei giornali, scrisse trenta libri. Oggi va al suo riposo, grande figura di donna, di scrittrice, di giornalista e di madre. Il Mattino, che l’ha avuta fondatrice, l’annovera fra le sue glorie».

Su tutti i giornali apparvero articoli che raccontavano le sue scelte coraggiose, il suo spirito spesso controcorrente. “La Stampa” annunciò così la sua scomparsa: “Questa sera, verso le 23, in seguito ad un attacco di arterio-sclerosi, è morta Matilde Serao. La ferale notizia, che è lutto non soltanto per Napoli, ove la grande scrittrice svolse tutta la sua attività infaticabile di romanziera e di giornalista, si è rapidamente sparsa nella città suscitando in tutti il più sincero dolore, poiché Matilde Serao era amata da tutti a Napoli per la sua bontà ed attività. Una folla di giornalisti, artisti, amici ed ammiratori si è recata, malgrado l’ora tarda, in casa Serao. […] La morte l’ha colta questa sera. Erano le 22. Matilde Serao stava scorrendo un libro. Accanto a lei erano le sue due nipotine, Nanna e Vittoria Scarfoglio, figliuole del figlio Antonio, ed il collega comm. Infusino. Improvvisamente, ella si è sentita mancare il respiro. Ha fatto uno sforzo, poi ha reclinato il capo sulla scrivania. Era morta. Giungevano in quel momento tragico il figliuolo Carlo con la moglie, signora Virginia, la quale praticò inutilmente una iniezione di canfora. Il prof. Boeri ed il prof. Marocca, subito chiamati, non hanno potuto che constatare la morte”.

Anticonformista nelle sue scelte, feroce con chi non rientrava nei parametri della sua sfera di simpatia, criticata da molti per il suo stile narrativo considerato superficiale e addirittura grossolano, apprezzata invece da altri autorevoli esponenti della cultura del tempo, tra i quali ad esempio Benedetto Croce, famosa anche per quella sua risata ampia e ridondante che sembrava provenire dal suo petto ampio e possente, la Serao, femminista per scelte concrete e non per volerlo essere, è stata davvero la madre del giornalismo, maschile o femminile che sia. Attraverso i suoi celebri “Mosconi” raccontò i meandri dell’umanità variegata che popolava “il ventre di Napoli”, titolo questo di uno dei suoi libri più conosciuti. Se ne andava così la donna dalla penna tagliente che aveva dimostrato anche un’altra cosa importante: che si può diventare qualcuno anche senza essere necessariamente belle. Basta possedere intelligenza, volontà, determinazione, capacità di lavoro. E questo non mancava certo alla Serao.

 

Note

1 Matilde Serao descrisse nel romanzo ‘Telegrafi di Stato. Romanzo per le Signore’ la vita affannata e il lavoro alienante di un gruppo di telegrafiste napoletane negli ultimi decenni dell’Ottocento.

2 Elisabetta Rasy, Matilde Serao, in Italiane cit., vol. I, p. 169.