Storielle galatinesi

Da sempre la storia spicciola di ogni paese è raccontata dal popolino

Aneddoti e fatterelli galatinesi

di Mauro De Sica

Galatina – Corso ferrovia

In questa nuova rubrica, che mi auguro sia gradita ai galatinesi e non solo, racconterò brevi e curiosi aneddoti di vita paesana che fanno da corredo e supporto all’Historia principale della nostra città. Sono semplici storielle molto importanti in quando descrivono i modi, i tempi, gli strumenti, le furbate di vario genere, la perspicacia e la notevole vivacità ai quali ricorreva spesso il “popolino” per garantirsi il minimo indispensabile per sbarcare il lunario della propria esistenza. Non mancavano, però, l’allegria, la generosità e il buonumore in ogni casa, pur tra tanta povertà, stenti, sopportazione ed anche rassegnazione. Ma su ogni cosa emergevano la forza caratteriale, la buona educazione e lo stare sempre insieme, elementi conditi quotidianamente da una spolveratina di antica saggezza.

Perciò, cari amici lettori, staccate la spina per dieci minuti dalla vita che conta, scrollatevi di dosso ogni problema e seguitemi con molta attenzione in questa narrazione, perché sto per trasportarvi in un altro mondo, forse sarebbe meglio dire in una stupenda favola in cui incontrerete gente semplice, umile, laboriosa, sofferente, povera ma che viveva tra tanto, tanto amore.

Alla fine dello stacco – ne sono sicuro – vi dispiacerà tanto abbandonare il breve viaggio nel tempo per fare ritorno nel mondo farraginoso e molto incerto dell’oggi.

Corso Porta Luce

Marga, la crema Marga, cumìtuli de filu, sapone e sapò… e l’amicu dorme!”.

“Marga, la crema Marga, gomitoli di filo, sapone e sapò… e l’amico dorme!”.

Era la frase che soleva ripetere “lu Picheddhra”, un merciaio ambulante galatinese, allorquando transitava con il suo carretto per le strade di Galatina. Oltre a ripetere lo slogan pubblicitario dei suoi prodotti, si lamentava che un cliente di quella strada non si facesse vivo per saldare il suo debituccio. Da allora si usa dire “…e l’amicu dorme!” per sollecitare qualcuno, che si trova nei suoi pressi, ad onorare la pendenza.

Oltre a questo, “lu Picheddhra”, per non scordarsi del debito di alcuni suoi clienti, usava scrivere il nominativo e l’importo a lui dovuto sui muri della strada in cui quella persona abitava. Ancora oggi si notano, passando nelle viuzze del centro storico, alcuni nominativi (non per cognome ma per soprannome) dei suoi debitori e relativo importo. In molti casi questi scritti sono sbarrati per pagamento avvenuto; altri, purtroppo per il povero Picheddhra, stanno ancora lì in attesa di essere saldati.

Mastice don Giuvanni!”.

“Mastice, don Giovanni!”.

Intanto l’epiteto “don Giovanni” era rivolto al proprietario del cineteatro Tartaro di via Principe di Piemonte. Ma cosa centrava il termine “mastice” accanto al nome di quest’uomo? Presto detto. Generalmente nei film c’è quasi sempre una scena in cui due innamorati si baciano. Ai nostri tempi il bacio cinematografico mica durava pochi secondi! Sembrava durasse un’eternità. Pertanto qualcuno del pubblico in sala, forse spazientito o forse eccitato, si lasciava andare a questa colorita frase, volendo fare intendere a don Giovanni Tartaro che con ogni probabilità tra le labbra dei due spasimanti ci fosse del mastice, che non consentiva ai due di staccarsi dall’effusione amorosa.

Galatina – Anno 1928 – Costruzione del Teatro Tartaro

Sta ppassu le pene de lu linu”.

Sta subendo le pene del lino”.

Si dice di colui/ei che si trova nelle stesse condizioni del lino (pianta) che deve essere battuto per estrarre le fibre necessarie a confezionare indumenti molto freschi. Un tempo, durante le afose giornate estive, s’indossavano camicie, oppure pantaloni o, addirittura, vestiti di lino (bianchi per far riflettere i raggi del sole) per sopportare con minori fatiche il caldo torrido di certe giornate estive.

Venendo al ‘lino’, gli steli della pianta venivano essiccati e poi battuti con appositi strumenti per eliminare le sostanze impure e residui acquosi, le fibre cosi ottenute venivano gramolate attraverso un particolare strumento chiamato “gramolatrice”, che consentiva poi di ottenere dei lunghi fili per confezionare indumenti. Stessa cosa veniva fatta con la canapa.

Galatina – Arco Cappuccini

Nonna mia bbeddhra, facce de rosa, se te dau nu vasu, me dai ‘na cosa?”

“Nonna mia bella, faccia di rosa, se ti do un bacio, mi dai una cosa?”.

E la nonna ti stringeva forte forte a sé, ti dava un bacio e poi si allontanava per trovare qualcosa da regalarti. I tempi di allora erano molto grami e duri perché si veniva fuori da un conflitto mondiale tremendo, che aveva seminato dappertutto lutti, macerie e tanta povertà tra la gente. Però, lei, la cara nonna dal viso rugoso ma angelico, trovava sempre qualcosa da darti. A volte erano dei fichi secchi, oppure delle noci, o anche delle castagne secche, quasi mai delle caramelle.

Bastava quel gesto così affettuoso e materno per farti entrare nell’anima un’energia particolare che ti lievitava in ogni parte del corpo. Io, personalmente, le davo più di un bacio, ma non per accattivarmela, bensì perché le volevo un bene dell’anima.

Galatina – Corte nel centro storico

”Se nu’ ppachi, ti mandu lu Caddara!

“Se non paghi, ti mando ‘Caddara’”.

Non essendo sicuro dell’onorabilità di una persona nel pagamento di una sua obbligazione, il creditore pronunciava tale frase per incutere nel debitore timore e convincerlo a pagare alla scadenza quanto da lui dovuto. Infatti, “lu Caddara” era l’ufficiale giudiziario che esigeva il pagamento delle cambiali o altre obbligazioni pecuniarie, allorquando non erano state pagate alla scadenza.

Se non veniva onorato il debito, “lu Caddara”, dopo l’opportuna ordinanza del giudice, passava alla vendita dei beni mobili ed eventualmente immobili sino a coprire l’importo di quanto dovuto dal debitore alla parte ricorrente.

Oju, pethroju, benzina minerale pe’ vincere lu Ggalatina ci vole ‘a nazziunale!”.

“Olio, petrolio, benzina minerale per vincere il Galatina ci vuole la Nazionale!”.

Durante le partite di calcio del Galatina disputate, negli anni ’40-‘50 al campo sportivo di Piazza Fortunato Cesari e dopo nell’attuale stadio, saliva alto l’incitamento dei tifosi per supportare i biancostellati.

Se la squadra era in difficoltà, s’incoraggiavano i tifosi con un semplice “Ggalatina, Ggalatina!”, mentre se la Pro Italia stesse vincendo, e magari surclassando gli avversari, i tifosi compatti e festosi cantavano: “…Oju, pethroju, benzina minerale pe’ vincere lu Ggalatina ci vole la nazziunale!”.

Teatro Tartaro vecchio – Interno

Catasca è prossima!!!

“Il furto è prossimo!”.

Era l’avvertimento lanciato da un ragazzo, probabilmente di un rione diverso e quindi sconosciuto, rivolto ad un gruppo di ragazzi intenti a giocare per strada a soldini metallici. Bastava la presenza dell’intruso per fare capire che si potrebbe trattare di persona pericolosa. Pertanto i ragazzi del gruppo stavano ben attenti a non allontanarsi di troppo dalle monetine giacenti per terra.

La nota positiva della storiella sta nel fatto che, anche nelle cattive azioni, ognuno dovesse osservare un buon comportamento. Perciò, qualche istante prima che avvenisse il furto delle monetine, il ragazzo sconosciuto lanciava il grido “Catasca è prossima!”, per poi lanciarsi per terra, arraffare qualche soldino (cinque o dieci lire) e scappare via in tutta fretta.

Per prevenire l’eventuale furto, si invitava lo sconosciuto di non avvicinarsi troppo e quindi a mettersi a dovuta distanza (due o tre metri) dalle monetine, ma quasi sempre lo si obbligava, volente o nolente, ad andar via.