Un viaggio nelle antiche miniere di tufo di Cutrofiano

di Massimo Negro

 

Ci fazzu? … Vau te sulu?

Sine, poti scire te sulu”, rispose l’anziano proprietario; poi rivolto a suo fratello, che nelle intenzioni iniziali mi avrebbe dovuto accompagnare, disse preoccupato:

Dici ca se perde?

None, comu face cu se perde” lo rassicurò il fratello, quindi guardandomi disse:

Bona passeggiata e… me raccumandu cu no te perdi!”.

Salutai i due e mi avviai a piedi verso l’ampia entrata della cava.

Cutrofiano (LE) – L’ingresso_della_cava_ipogea

Prima di giungere a quel giorno, però, è bene raccontarvi gli avvenimenti precedenti.

Erano passati parecchi mesi da quando mi presentai per la prima volta ad una delle cave ipogee di Cutrofiano con l’intenzione di visitarla. Il tutto cominciò per caso, come spesso capita nelle mie improvvisate peregrinazioni per  il Salento.

Una mattina di due estate fa, mi trovavo nella biblioteca di Cutrofiano per chiedere  alcune informazioni sulla zona dove si trova la Cripta di San Giovanni Battista. Nel parlare delle poche tracce di affreschi presenti all’interno e della vicina necropoli, il discorso cadde sulle cave ipogee presenti nella zona.

Dopo aver raccontato delle mia “esplorazione” delle antiche cave in località Petrore, il responsabile della biblioteca mi disse: “Ma quelle non sono niente rispetto alle vere cave ipogee di Cutrofiano”.

Alla fine tornai a Galatina con tutti i riferimenti utili per poter contattare il proprietario e cercare di organizzare una visita.

Se si presta attenzione nell’attraversare la zona che da Cutrofiano conduce verso  Supersano e Corigliano, noterete numerose e strane forme di pozzi circolari con la bocca tappata dal cemento. Bocche enormi, non come pozzi d’acqua o di cisterne interrate, di cui sono piene le nostre campagne. In effetti non si tratta di normali pozzi.

Cutrofiano (LE) – Il pozzo di discesa e risalita

Sono le dismesse vie di accesso ad un mondo ormai scomparso.

Conducono nel sottosuolo, in dedali di gallerie da cui sono state estratte quantità enormi di calcarenite, o per dirlo in modo comune, i tanti “cuccetti te tufo” con cui sono state costruite le nostre case.

Chi percorre quelle strade forse ignora che sotto i propri piedi o le ruote delle macchine, ampie gallerie, ora immerse nella più totale oscurità, si allungano come un labirinto, perdendosi nel sottosuolo.

Pozzo di discesa

Era ormai settembre quando mi misi in contatto per la prima volta con il proprietario di una cava.

Quel giorno non poteva accompagnarmi perché era da solo e non poteva lasciare il lavoro in cui era impegnato. Mi diede appuntamento per il lunedì successivo, ma un impegno improvviso a Roma non mi permise di ritornarci.

Da allora e per i mesi successivi accadde qualcosa di veramente strano, in puro stile fantozziano. Ogni volta che prendevo appuntamento per la visita, il giorno prima o il giorno prefissato pioveva e di conseguenza la visita saltava.

Con il terreno  bagnato era praticamente impossibile entrare perché si sprofondava nella melma sino alle ginocchia.

Dopo uno dei tanti contatti avuti in quei mesi di nulla di fatto, un giorno il proprietario vedendomi un po’ amareggiato mi disse:

Nu te preoccupare, tantu la cava te ‘cquai nu se move”.

Passarono altri mesi con questa “maledetta” nube che incombeva sulla mia testa, finché un giorno di aprile di quest’anno accadde il “miracolo”.

Una bella giornata, preceduta da una settimana di sole, permise la discesa nella cava e, come avrete capito, ci entrai da solo armato di una macchina fotografica per le foto, una seconda appesa al collo per le riprese filmate e torcia elettrica. Quest’ultima un po’ misera, ma era la più potente che ero riuscito a trovare nei “forniti” negozi di Galatina.

Non scesi nel sottosuolo da uno degli antichi pozzi di scavo, lo sfruttamento a cielo aperto della zona ha intercettato le gallerie sotterranee dell’antica cava ipogea, per cui l’ingresso  avvenne direttamente, dal basso.

Nonostante non piovesse da giorni, l’ingresso non fu agevole. Per entrare nella galleria bisognava superare un ammasso di argilla e polvere di tufo che, dal lato che dava verso l’interno della galleria, era bagnato e se non si prestava la giusta attenzione si correva il rischio di ritrovarsi facilmente a gambe all’aria. Alla fine della visita le scarpe erano diventate inservibili.

Il primo pozzo di scavo

Superato l’ostacolo delle “sabbie mobili” entrai nella prima galleria. Molto probabilmente, questa faceva parte di un complesso sotterraneo molto più vasto e ormai quasi interamente consumato dalla coltivazione a cielo aperto della cava. In questo primo tratto non fu necessario l’uso della torcia perché la luce arrivava copiosa dall’apertura d’ingresso. Mi trovai così all’interno di una vasta galleria, larga circa un otto  metri e tremendamente alta. Sulle pareti i segni lasciati dai cavatori per estrarre i mattoni di tufo, segni del solido e antico piccone documentavano che probabilmente questo braccio della cava era stata realizzato  prima dell’avvento dei mezzi meccanici.

Lungo la galleria ad un certo punto notai nella parete destra un passaggio scavato nella roccia. Dall’altra parte regnava l’oscurità più profonda. Accesi la torcia elettrica, mi chinai per poter attraversare l’angusto passaggio e mi avviai all’interno.

Attraversai velocemente lo stretto cunicolo e mi fermai subito, in silenzio.

Il_cunicolo_che_conduce_all’interno_della_secondo_cava_comunicante

La prima sensazione? Difficile da descrivere. Mi ritrovai in una galleria in apparenza simile alla prima, ma immerso nel buio più totale. La vastità degli spazi rendeva quasi nullo il fascio di luce della mia torcia e la grandezza della galleria veniva amplificata dell’oscurità.

Il tempo di ambientarmi e provai una gioia immensa nell’essere finalmente lì.

Probabilmente questa galleria faceva parte di un’altra cava ipogea, distinta dalla prima galleria attraversata inizialmente. I due siti dovettero giungere quasi in contatto e allora, per motivi che non conosco, si realizzò un’apertura per metterle in comunicazione.

Si respirava aria umida.

La_prima_galleria_attraversata

Mi spostai dapprima verso sinistra, seguendo il rumore incessante di gocce d’acqua che cadevano dall’alto. Dopo poco giunsi ai piedi di un pozzo di scavo tappato in superficie. Sotto la bocca del pozzo un cumulo di terra. La galleria proseguiva ancora per un breve tratto per poi interrompersi. Per meglio orientarmi utilizzavo le foto che scattavo con il flash e che mi consentivano di avere una visione più ampia e sicura del posto in cui mi trovavo.  Tornai indietro. Davanti a me la galleria si perdeva nell’oscurità. Mi avviai camminando lentamente, non tanto per l’oscurità che avevo davanti, quanto per meglio assaporare quei momenti.

Al termine la galleria svoltava ad angolo retto a sinistra, aprendosi verso destra in alcuni brevi tronconi. Dopo una breve perlustrazione, mentre mi apprestavo a proseguire lungo il nuovo tratto di galleria sentii nuovamente e più distintamente il rumore di gocce d’acqua che cadevano incessantemente dall’alto. Puntai innanzi a me il fascio di luce e intravidi i contorni di un cumulo di terra, stavo arrivando probabilmente in corrispondenza di un altro pozzo di scavo.

Arrivato dinanzi all’ammasso di terra e roccia, proprio sotto la campana del pozzo, puntando la torcia verso l’alto ebbi la prima grande sorpresa della giornata. Le gocce d’acqua cadendo avevano formato delle stalattiti e il cumulo di terra appariva completamente biancastro e calcificato dai sali minerali. Stupendo. Molto probabilmente questo secondo pozzo si trova nelle vicinanze di una falda freatica o in una zona più umida, pensai, visto che a differenza del primo le gocce d’acqua cadevano giù con una certa intensità e sicuramente questo ha agevolato la creazione delle stalattiti.

Le_stalattiti

La galleria proseguiva e così mi inoltrai nell’oscurità  lasciandomi alle spalle il rumoreggiare delle gocce d’acqua.

Dopo poco, facendo girovagare in ogni dove  il mio fascio di luce, venni colpito da una vasta macchia scura presente sulla volta  della galleria. Dapprima pensai che i cavatori in quel punto forse si erano spinti un po’ troppo in alto andando ad intaccare lo strato di “mazzaro”.

Mantenni il fascio di luce in quel punto, finché non vidi un punto nero staccarsi dalla parete e volare via. Poi un secondo, un terzo e così via.

Altro che “vasta macchia scura”, quella era una colonia di pipistrelli.

Una marea di pipistrelli. Nel giro di pochi secondi il suono del loro battito d’ali scacciò via il silenzio più assoluto che regnava nella galleria incutendomi un certo timore. Percorsi ancora un breve tratto avanzando lentamente, ma ormai il “danno” era fatto: avevo interrotto il loro riposo e ora li sentivo volare tutt’intorno a me.

I pipistrelli

Dopo aver fatto qualche foto pensai che forse era arrivato il momento di togliere il disturbo e mi avviai verso l’uscita dove il proprietario della cava e suo fratello mi avevano pazientemente atteso.

I pipistrelli

La coltivazione in ipogei ha interessato una zona vastissima che dovrebbe aggirarsi intorno agli 800 ettari, assumendo i connotati  tipici delle miniere.  Il vasto banco di calcarenite si trova ad una profondità che può andare ben i oltre i 30 metri (in alcune zone si arriva a 50 metri di profondità) ed è sovrastato da un profondo strato di sabbia e argilla.

Queste miniere di calcarenite costituiscono ora un potenziale pericolo costituito in particolare dalle cave ipogee più antiche delle quali non si ha memoria del loro sviluppo nel sottosuolo e delle quali manca una planimetria. Sono le cave per le quali è difficile verificare che i cavatori dell’epoca avessero messo in opera tutti gli accorgimenti ed eseguito  le tecniche di scavo necessarie per assicurare la loro stabilità. Questa vasta zona di Cutrofiano è piena di depressioni nel terreno che, si può supporre, siano state causate dal crollo delle volte delle gallerie sottostanti. Alcune di queste depressioni sono state invase dall’acqua creando così dei bellissimi e suggestivi laghetti.  In quella zona è vietato il traffico a mezzi pesanti e a pieno carico, pena il rendere instabile quanto presente nel sottosuolo, con tutti i rischi di crolli che ne deriverebbero. In alcuni casi, alcuni pozzi di scavo riaperti per delle ispezioni, sono stati trovati con le pareti ricoperte di fuligine. Segno che qualcuno vi ha buttato dentro qualcosa a cui poi ha dato fuoco, forse dei copertoni.

Ma, con tutti gli accorgimenti e le cautele del caso, sono a mio avviso anche un’opportunità di sviluppo, Soprattutto le cave più recenti delle quali si conoscono tutti i dettagli del loro sviluppo e le loro caratteristiche. Potrebbero diventare un’inusuale attrazione per un certo tipo di turismo, oltre che testimonianze culturali nuovamente vive di un passato di cui  ormai pochi ricordano e a molti sconosciuto nel Salento.