Papa Cagliazzu

Di storielle e aneddoti sul conto di papa Cagliazzu (Galeazzo) ne sono stati raccontati e scritti a bizzeffe e, come sempre succede quando questi cunti (racconti) vengono raccontati e tramandati di bocca in bocca, alla fine è impossibile stabilire se corrispondono a verità o a leggende scaturite dalla fantasia popolare.

Nemmeno io sono in grado di dire se la vicenda che sto per raccontarvi sia vera o falsa. Mi limito a narrarla così come l’ho appresa da un amico saputello in una afosa serata d’estate seduto insieme ad altri amici su un sedile alla villa, illuminati dalla fioca luce di un lampione pubblico, mentre aspettavamo oziosamente di rincasare per la cena.

Raccontava il nostro amico che il famoso prete di Lucugnano, paese del Capo di Leuca, era solito seguire questa o quell’altra pia donna del paese per ottenerne le grazie, quando erano sole in casa e quando i mariti erano impegnati al lavoro nei campi.

Papa Cagliazzu era però inconsapevole che una donna, mossa probabilmente dalla gelosia per non essere oggetto di attenzioni da parte del prelato di cui si era pazzamente invaghita, seguiva tutti questi strani movimenti e che, provvista di carta e penna, prendeva accurati e circostanziati appunti, giorno, ora, indirizzo, nome, cognome etc. e, settimanalmente, inviava questi appunti al Vescovo di Lecce.

Il Vescovo, dopo aver ricevuto numerose lettere con questi appunti, decise di recarsi a Lucugnano, per appurare di persona se i fatti che gli venivano riferiti corrispondevano o meno alla verità.

Papa Cagliazzu aveva assunto come perpetua Caterina, una bella e giovane donna dalle forme procaci, e fu proprio lei, insieme a papa Cagliazzu, sorpreso dalla visita non annunciata, ad accogliere in casa l’ ospite. Il Vescovo, nel vederla, non potette esimersi dal fare intime considerazioni sull’aspetto della donna, che si premurò immantinente di preparare un buon caffè, che fu consumato tra i rituali convenevoli.

Terminata la degustazione del caffè accompagnato da qualche pasticcino, il Vescovo espresse a papa Cagliazzu la volontà di visitare la Chiesa Matrice e officiare la funzione serale insieme a lui.

“Caterina, noi andiamo in Chiesa per la funzione. Tu nel frattempo prepara qualcosa di buono da mangiare per quando torniamo” si rac- comandò papa Cagliazzu.

Visitata la Chiesa e officiata la funzione della sera, il Vescovo e papa Cagliazzu fecero ritorno a casa di quest’ultimo, dove la bella Caterina aveva preparato una cena a base di prodotti locali. Durante il pasto, l’intelligente, quanto furbo prelato lucugnanese non manco di osservare che sua eminenza, tra un boccone e l’altro, lanciava continue e lunghe occhiate verso la sua procace perpetua.

Al termine della cena, rimasti soli, il Vescovo si rivolse a papa Cagliazzu e con circospezione disse:

“Galeazzo, veniamo al motivo della mia visita. Dunque devi sapere che da oltre un anno continuo a ricevere lettere anonime da una tua parrocchiana che ti accusa di essere un donnaiolo e di frequentare assiduamente molte tue parrocchiane, con cui ti intrattieni poi in rapporti intimi. Ora è pur vero che sotto la tonaca che indossiamo c’è pur sempre un uomo con tutte le sue debolezze e le sue necessità, ma noi non possiamo né dobbiamo cedere a queste umane tentazioni. La nostra missione e il nostro giuramento di castità non ce lo consentono, e poi, posso capire e giustificare qualche scappatella, ma non una consuetudine quasi giornaliera. Ho deciso quindi di sospenderti per qualche tempo dall’officiare i sacramenti e sostituirti con un altro canonico. Pertanto, domani sabato, farai affiggere in paese qualche manifesto per annunciare ai fedeli che quella di domenica sarà la tua ultima messa e verrai sostituito. Così ho deciso e così dovrà essere fatto”.

Papa Cagliazzu non proferì verbo, annuì con la testa e accompagnò sua eminenza nella stanza che gli era stata preparata per la notte.

Ritornato a sedere intorno alla panca dove era stata servita la cena, cominciò a rimurginare qualche cosa da fare per ovviare a questa sospensione. Finalmente ebbe un’idea e sogghignando tra sè e sè chiamò Caterina che era ancora intenta a lavare piatti e posate.

“Caterì, tu m’ha fare nu favore grande grande. Sta dicu grande grande, quindi capiscimi e fa tuttu quiddhru ca ti dicu senza discutere ca poi ti fazzu nu bellu rigalu. Cramatina, quando puerti lu cafè allu vescuvu, hai scire nuda, no propiu nuda, ma quasi. Ti minti na camisa bella scollata, nu grembiulinu giustu pi mostra e nienzi addhru, e poi lassi la porta perta. Eccu quistu mi raccumandu è importante, cu la lassi pierta. M’hai capitu?”

“Aggiu capitu. Ma signuria si sicuru ti quiddhru ca sta mi dici cu fazzu?”.

“Tranquilla, sicurissimu. Tu fanne tuttu quiddhru ca t’aggiu dittu e no ti preoccupare, ca ci no qua pirdimu lu pane ti occa”.

Il mattino seguente, di buonora, Caterina bussò lievemente ed entrò, chiedendo permesso, nella stanza del Vescovo vestita, anzi svestita quasi del tutto, come le era stato raccomandato da papa Cagliazzu, lasciando socchiusa la porta.

Sua eminenza, alla vista della bella perpetua quasi completamente nuda, cominciò a deglutire nervosamente e, mentre il suo corpo rispondeva agli atavici richiami, facendosi il segno della croce, esclamò:

“Pater et filius et spiritus sanctus, come mai Caterina sei venuta nuda?”

“Volevo portarle il caffè prima che si raffreddasse – rispose Caterina porgendo la tazza fumante al Vescovo tutto tremolante – Se non c’è altro, posso andare?” aggiunse dirigendosi verso la porta.

“No, no – si affrettò a rispondere il Vescovo – anzi vieni qui e siediti accanto a me, che voglio sapere alcune cose sul vostro dialetto. Per esempio queste due cose voi a Lucugnano come le chiamate?”.

“Nenni” rispose prontamente la donna

“ No, no, figlia mia, queste si chiamano ‘pomi della dea’. E questa?” aggiunse il Vescovo scendendo con la mano verso l’ombelico.

“Panza la chiamiamo”

“Eh, no! Questo si chiama ‘Monte Tabor’. E questo antro coperto di peli?”

“Culicchio, signor mio. Tutti lo chiamiamo culicchio”

“Sbagliato Caterina, il suo giusto nome è ‘Bar d’Africa’. E questo coso che ho io nello stesso posto si chiama ‘speculum speculorum’. E adesso lo possiamo mettere nella pancia di Caterina Caterinorum?”. E… successe quel che successe.

Papa Cagliazzu, che si era nascosto dietro la porta lasciata volutamente aperta come aveva raccomandato a Caterina, aveva assistito a tutte queste scene e, una volta chiuso il “bar”, non si fece più cenno di quanto accaduto.

Tutta la giornata del sabato fu spesa a girovagare nelle campagne di Lucugnano e a far visita alle parrocchie dei paesi vicini con una puntatina alla Chiesa della Madonna di Leuca.

Il mattino seguente la Chiesa Matrice era piena di fedeli già molto prima dell’ora prevista per la celebrazione della messa. I manifesti affissi il giorno prima con cui si annunciava che quella delle 10.30 sarebbe stata l’ultima messa di papa Cagliazzu, avevano avuto un effetto dirompente sui fedeli di Lucugnano. Se ne era parlato a lungo nei caffè, dal barbiere, in piazza, nei circoli,  nei vicoli e nelle corti, e ogni cittadino o comare, nel parlarne, aveva colorito la vicenda con la propria immaginazione, elaborando congetture e ricostruzioni fantasiose.

Orbene, poco prima della celebrazione, mentre in sacrestia i due concelebranti erano intenti ad indossare le casule, papa Cagliazzu fece cenno al Vescovo di accostarsi, e a bassissima voce per non farsi sentire dal sagres­tano e dai chierichetti, facendo finta di pregare, gli sussurrò in un orecchio:

“T’aggiu vistu ieri matina de retu alla porta ca era rimasta pierta, aggiu vistu ca pure sotta la tonaca tua c’è l’ uomo. T’aggiu vistu quando tuccavi li pomitelli di Caterinorum e poi scindisti allu Monte Tabor, t’aggiu vistu quandu si trasutu cu lu Spagu di Spagulorum intra lu Bar d’Africa e poi issisti tuttu felice. Mo, quando tocca a tie cu parli, mi raccomandu a cce dici, ca ci no’ mi piace riferisco tuttu a lu Santu Pontefice, per omnia secula seculorum amen”.

Il Vescovo spalancò la bocca per rispondere qualcosa, ma il sagrestano suonò la campanella e il gruppo degli officianti entrò velocemente in chiesa, prendendo posto intorno all’altare maggiore.

La messa si svolse regolarmente con grande partecipazione dei fedeli, poi, al termine il Vescovo, come era stato programmato, prese la parola per quello che era previsto dovesse essere un saluto a papa Cagliazzu, ma, ostentando commozione e qualche finta lacrimuccia, disse:

“Nell’osservare oggi così tanti fedeli partecipare alla santa messa ho riflettuto e rivisto le mie decisioni circa il trasferimento del nostro don Galeazzo ad altra sede. Perciò miei cari fedeli sono lieto di annunciarvi che don Galeazzo continuerà ad essere la guida spirituale di questa graziosa e operosa comunità. Aggiungo anche che domani stesso provvederò ad inviargli trecento scudi, per provvedere ai piccoli restauri di cui questa chiesa necessita. Amen”.

E anche questa volta la furbizia di papa Cagliazzu ebbe la meglio.