Presi a campione i registri della scuola elementare di Melendugno

PEDAGOGIA E FASCISMO IN TERRA D’OTRANTO

Spesso gli scolari si assentavano da scuola per non pagare la tassa sulla pagella ma anche per aiutare i genitori nei lavori stagionali in campagna, quali la raccolta delle olive, la piantagione degli ortaggi e del tabacco o per portare le pecore al pascolo

di Anna Maria Colaci

La letteratura critica sul Ventennio fascista è considerevole, anche in sede della storiografia pedagogica, ma non mancano sicuramente alcuni aspetti da puntualizzare, ossia in che modo e in quale misura il fascismo ebbe il consenso e a quanto contribuì concretamente la scuola di Terra d’Otranto, nello specifico.

Prima di entrare nel dettaglio sembra opportuno fare alcune premesse.

Infatti, la storiografia accademica ha sempre affrontato il fascismo attraverso il confronto con Gentile, Volpe, Bottai, Spirito, mentre la storiografia successiva al fascismo, chiaramente ad esso ostile, ha affrontato la questione secondo due differenti direttive: una liberale (con Omodeo), l’altra comunista (con Cantimori).

Piccoli Balilla in parata

È stato questo un approccio non asettico, cui è seguito una corrente storiografica detta revisionista, meno disposta ad ogni pregiudizievole rifiuto di percorsi intellettuali, politici, sociali, intrapresi durante il fascismo.

Guardando alla storiografia pedagogica, il dibattito sulle idee è spesso consistito in una discussione sul pensiero educativo del Gentile, distinguendo all’interno dell’attualismo le posizioni di Lombardo Radice e quella di Codignola, passato dal fascismo all’antifascismo.

Sicuramente meritevoli di menzione sono le pagine di storici quali Pazzaglia e Ostenc che hanno ricostruito dettagliatamente i rapporti esistenti tra Fascismo e Chiesa, oltre che l’aspetto funzionale al potere che le istituzioni scolastiche assunsero dopo il 1925.

Ora, al di là di tali prospettive, resta il problema di intendere come, indipendentemente dalle grandi teorizzazioni e dagli stessi interventi legislativi, il fascismo abbia concre- tamente operato nelle realtà scolastiche, anche meridionali.

Date queste premesse, si comprende la necessità di fermare l’attenzione al mondo della scuola (registri, quaderni e così via), secondo un percorso di indagine già aperto, ma poco promosso nel territorio Salentino.

L’analisi dei registri della scuola elementare di Melendugno presi a campione di un modo di procedere che non possiamo fare per motivi di spazio, mi sembra particolarmente significativa di una partecipazione alla vita pubblica.

Alcuni registri sono completi includendo programmi e attività didattica giornaliera, altri contengono solo l’elenco degli alunni, alcune pagelle e degli specchietti statistici.

I registri, che cambiano spesso nome, ci informano della durata dell’anno scolastico, della durata di inizio e fine del numero delle lezioni e di eventuali interruzioni; ci parlano, inoltre, del maestro con le sue vicende, ma anche di sue eventuali sostituzioni durante l’anno.

Di grande interesse sono le note dalle quali emerge una pedagogia del fascismo e una didattica che rispecchiava il pensiero fascista.

Questo tipo di materiale permette, quindi, di analizzare nel dettaglio l’educazione del fascismo e come la propaganda operasse all’interno del mondo scolastico.

Oltre alla prassi educativa fascista, emerge con forza la condizione sociale di gran parte degli alunni e, conseguentemente, la situazione economico-sociale della comunità locale in cui è situata la scuola.

Per fare un esempio: nel registro della II maschile dell’anno scolastico 1927-28 si legge che, se su 64 obbligati gli scritti sono solo 25, ciò è dovuto alla tassa di pagella, e molte famiglie sono impossibilitate a versarne l’importo, a causa “del pessimo raccolto”; gli scolari, infatti, sono spesso assenti perché aiutano le famiglie nei lavori stagionali in campagna quali la raccolta delle olive, la piantagione del tabacco, la mietitura e raccolta della spiga e, questo accade sistematicamente tutti i giovedì, per portare al pascolo le pecore.

Quanto alle bambine, la motivazione è l’impiego come “domestiche” o la cura dei fratellini più piccoli in assenza della mamma.

Certo, rimane il problema, per molti versi irrisolvibile, dall’intima adesione dell’insegnante, ma è chiaro che il ruolo ufficiale svolto conduce effettivamente a far sentire gli studenti come parte essenziale della vita dello Stato.

In altri termini, il discorso politico, così a me pare, assume, mutatis mutandis, una connotazione analoga a quella catechistica nel senso che permea sin dall’infanzia la vita del fanciullo.

Preparativi per il saggio ginnico

È chiaro che il risultato è molto più rilevante rispetto alla scuola democratica. Quest’ultima, tende a responsabilizzare l’educando, quindi, a lasciargli aperte alcune opzioni all’interno di principi generali.

Su questa discrezionalità delle opzioni, ci può essere una maggiore o minore soggettività

di adesioni. Viceversa, in un sistema già definitivo, come quello fascista, c’è chi ha già scelto per il soggetto, e pertanto per il fanciullo fin dalla sua giovane età, è portato ad omologarsi, quindi, a fondersi nella visione nazionalistica.

Per un verso, tutto ciò conferisce una unità di vita pubblica, per altro verso, indebolisce e addirittura annulla le convinzioni personali, cioè in una pedagogia della definitività.

Dagli studi fatti, sull’intero territorio salentino, tale processo si presenta senza notevoli mutamenti nelle diverse realtà scolastiche, con la stessa simbologia che è presente nei quaderni (culto del Duce, del balilla, ecc), strumento attraverso il quale passa un’ideologia, tutto un sistema che mette bene in evidenza quelli che sono i valori celebrati dalla retorica fascista.