RITORNO A MARITTIMA

 di Rocco Boccadamo

Mi sono diplomato, con una sfilza di otto e di nove, nel luglio del lontano 1960.

Ricordo che era appena passato a miglior vita un vecchio marittimese, maestro Vitale Bianchi, già falegname di mestiere e, soprattutto, per molti decenni, sacrestano della locale parrocchia, in tale funzione sempre presente ad ogni evento, lieto e non, che si verificava in seno alla comunità paesana. Una figura, insomma, ben conosciuta e quasi familiare.

Marittima – La Chiesa madre

Poco tempo dopo, grazie a quel pezzo di carta e con la mente colma di tanta e convinta voglia di nuovo, ho detto ciao a Marittima e alla mia “Ariacorte” per incamminarmi verso il mondo del lavoro.

Non sono rimaste disattese, per fortuna, le aspettative postemi in tema di traguardi e di carriera, anche se nessuno mi ha fatto regali e ho, anzi, dovuto impegnarmi, come si suole dire, anima e corpo.

In più riprese ho cambiato sede di lavoro, in giro per l’Italia, dalla Puglia alla Toscana, dalla Campania alla Sicilia e alla Liguria, dalla Lombardia al Lazio; e questo peregrinare – pur con le connesse scomodità logistiche, di insediamento, adattamento ed ambientamento – si è tradotto in un significativo supporto di arricchimento delle mie conoscenze ed esperienze, non solo a livello professionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista culturale e umano.

Cinque lire

Trascorsi circa quaranta anni di servizio attivo da girovago, ho dovuto domandarmi e scegliere dove andare a vivere da pensionato. Il passaggio rivestiva molta importanza ed ha pertanto richiesto una lunga riflessione.

Alla fine, ha prevalso l’opzione del ritorno alle origini, per cui mi sono ritrovato di nuovo abitante di Marittima. All’inizio, sinceramente, ho talvolta avvertito un senso di disorientamento, mi sono posto degli interrogativi. Ma, adesso, sono, con convinzione, lieto e soddisfatto di essere ritornato.

Certo, l’arco di tempo della mia assenza, sebbene non lunghissimo, ha coinciso con un’epoca in cui sono maturati e si sono sviluppati tumultuosi e radicali cambiamenti, sicché, ora, molti scenari risultano profondamente mutati. Anche a Marittima, di conseguenza, appaiono diffuse le tracce del nuovo: sui muri, nelle vie, sui volti e negli abiti della gente, nella stessa aria che si respira.

Adesso, oramai ragazzo di ieri, mi rendo meglio conto che, nell’età giovanile, non esistevano intorno a me steccati o fossati rispetto agli altri, più giovani, più grandi o più vecchi che fossero. Ai miei occhi, la comunità marittimese era un tutt’uno e basta.

Dieci lire

Eppure, di tempo ne è passato!

Oggi, qui a Marittima, si scorgono inevitabilmente immagini comuni ad altri posti, si ha l’impressione di vedere in giro più autovetture e scooter che abitanti, sono ben presenti le mode in voga, i discorsi che si ascoltano risultano spesso imbevuti del tipico e moderno consumismo, delle usanze e delle tendenze che prevalgono.

Ma, ciononostante, per me, al massimo livello della scala dei valori, rimangono pur sempre le persone, non importa se ricche o povere, colte o poco istruite, eleganti o modeste e approssimative nell’abbigliamento.

Come in uno speciale lungometraggio cinematografico, di cui non ci si stanca mai di rivedere le sequenze, si succedono nella mia mente, con incredibile freschezza, molte scene della vita marittimese di circa sei decenni addietro. Qui, provo a metterne a fuoco quelle che maggiormente si sono saldate nella memoria.

A quei tempi regnava una totale e assoluta familiarità, si conosceva tutto di tutti, i vecchi avevano presenti i nomi di tutti, finanche dei neonati e, analogamente, anche i bambini conoscevano quelli degli anziani.

Gruppo di anziani

Indimenticabili i semplici giochi delle serate estive nelle viuzze dei vari rioni, sotto una casuale lampadina dell’illuminazione pubblica, se e quando esistente, altrimenti al buio rischiarato appena dal luccichio delle stelle e dalla luna: si partecipava in tanti, serenamente e gioiosamente, a prescindere dall’età.

Quotidianamente, anche col tempo inclemente, i giovani, gli adulti e gli anziani, di sera, erano soliti “uscire in piazza”, con lo scopo prevalente, se non esclusivo, di incontrarsi, far crocicchi, parlarsi e tener sempre aggiornate le reciproche conoscenze.

Magari ci stava anche qualche “passata” dalla bottega del vino, ma, ripeto, essenzialmente si discorreva, del più e del meno, come nell’agorà delle civiltà antiche.

Le ricorrenze delle feste, almeno delle principali, rinfocolavano i contatti, la socializzazione, le passeggiate, in coppie o in gruppi. In quelle circostanze, si registrava anche il fenomeno dei numerosi compaesani – residenti altrove – che mai mancavano all’appuntamento di un rientro, seppure di breve durata; si materializzavano, in tal modo, più ampi e festosi spunti per incontrarsi.

Quando qualcuno versava in cattive condizioni di salute, non passava giorno senza che i compaesani, a frotte, di solito al rientro dalle fatiche nei campi, passassero a rendergli visita, per informarsi sul decorso della malattia, per condividerne le sofferenze mediante due parole o un sorriso.

Marittima (LE)

In occasione, poi, della dipartita di un paesano, si registrava un unanime senso di autentico dolore, la partecipazione e la vicinanza alla famiglia coinvolgevano la totalità della popolazione; la chiesa, sovente, non bastava a contenere i partecipanti all’ultimo saluto allo scomparso, il corteo che si snodava verso il camposanto era quasi sempre interminabile, eppure – malgrado tanta folla – aleggiava un clima di assoluto raccoglimento, non volava una mosca. Con spontanea partecipazione e dignità, si tributava un corale abbraccio finale a chi se ne era andato.

Nei ragazzi e negli adolescenti, era radicata l’abitudine, alla domenica, di assistere alla “prima” messa al Convento; si saltava giù dal letto verso le cinque e mezzo, in certe stagioni ancora notte, si compiva il tragitto a piedi sotto l’incanto di cieli tersi e stellati. La funzione, per le otto, era già terminata e, così, si aveva a disposizione l’intera mattinata, per giochi e divertimenti nel boschetto sulla via dell’Arenosa.

D’estate, i giovani, se non c’era altro da fare, si attardavano in piazza o nelle strade principali del paese per tutta la notte, sino alle prime ore del mattino, discorrendo e scherzando, ma senza far schiamazzi, per non arrecare disturbo agli altri, in un clima di autentica amicizia e di schietto cameratismo.

Succedeva, non di rado, che la loro permanenza così prolungata si incrociasse con le prime sortite da casa degli adulti, i quali, ancora buio, si avviavano verso i campi. Ed era molto bello scambiarsi, insieme, quel buongiorno avente un sapore assolutamente speciale.

Saltuariamente, di solito nella tarda serata del sabato, i giovani si spostavano in gruppi verso le marine per pescare i granchi, qualche scorfano o, magari, i polpi, sorprendendoli sugli scogli bassi e nelle buche a ridosso del bagnasciuga erboso sotto il fascio di luce di rudimentali lampade ad acetilene. In qualche punto, i gruppi si incontravano e facevano il confronto dei rispettivi bottini.

Caseddhra

Gli usci delle case restavano in genere aperti, il rispetto della proprietà altrui era sacro, le notizie di qualche furtarello costituivano un evento davvero eccezionale.

All’intensità dei rapporti civili interpersonali, si abbinava una diffusa partecipazione alla vita religiosa della comunità; la chiesa, le messe e le funzioni erano assai frequentate, senza differenze fra le diverse fasce anagrafiche. Ogni marittimese sentiva un tantino suo, con umiltà ed attaccamento, quanto doveva svolgersi in seno alla parrocchia: liturgie, cerimonie, manifestazioni, ecc.

Queste le immagini che con più frequenza si proiettano a distanza dentro di me, con riferimento al mio paese e alla sua gente.

Ma le origini, e nella fattispecie il ritorno alle origini, non possono, ovviamente, prescindere dall’ambiente naturale – in primis il cielo e il mare – circostante.

Attualmente, specie trovandosi a dimorare nelle grandi città, si avverte molto forte il rimpianto dei cieli azzurri di una volta, degli astri luccicanti e vicini, della luna che “sembrava ti parlasse”, del mare che, nelle giornate burrascose, pareva volerti rimproverare con il fragore sordo e cupo delle onde, mentre, negli altri momenti, con il suo sciacquio leggero, ti raggiungeva dolcemente alla stregua di una tenera carezza.

Sotto questo aspetto, qui, al contrario, non è cambiato pressoché nulla, e ciò con grande appagamento per il mio animo che, di sicuro, non nutre rimpianti per l’atmosfera poco naturale delle varie località di precedente residenza.

Frùsciuli

Concludendo questi appunti, confesso che mi rallegro dal profondo del cuore osservando le generazioni giovanissime, che si presentano come l’essenza più bella e autentica di questa società del ventunesimo secolo; soffermandomi a guardare fugacemente i loro volti freschi, dagli occhi vivi e intelligenti, mi viene spontaneo di dire: “Buona fortuna a voi, giovani, che vi accingete ad entrare nella vita!”.

Egualmente mi rallegro, nell’osservare, o meglio ammirare, le persone anziane o vecchie, spesso di ottanta, novanta e ancora più anni, in buona salute, autonome, in certi casi addirittura più vitali e serene di come mi apparivano all’epoca, sotto il peso delle fatiche e delle preoccupazioni.

E trovo, che tali ultime immagini stabiliscano un magnifico collegamento, un bel segno di continuità fra le realtà di ieri, il presente e il tempo a venire.