Auletta

Un’altra inaudita barbarie commessa dai Savoia nel 1861

La strage di Auletta

di Salvatore Cesari

Il 28 luglio 1861, una nutrita colonna di ex-soldati borbonici e di legittimisti fedeli al deposto re Francesco II, entrò in Auletta, un piccolo paese in provincia di Salerno, si sbarazzò della modesta guarnigione piemontese e prese possesso della città tra i canti e il giubilo dell’intera popolazione. I pochi liberali, tra cui alcuni notabili, fecero appena in tempo per sottrarsi ai rivoltosi, raggiungere il vicino paese di Pertosa e riferire sull’accaduto.

Intanto ad Auletta vennero rimossi dal palazzo municipale i ritratti di Vittorio Emanuele II e Garibaldi, che furono portati nella vicina piazza e dati alle fiamme. Al posto del tricolore, lacerato e sputato, fu innalzata la bandiera dei tre gigli del Regno delle Due Sicilie. Contemporaneamente, nella locale chiesa di San Nicola di Mira, venne celebrato il Te Deum a favore dei deposti sovrani, mentre intanto le campane delle chiese furono fatte suonare a distesa per invitare i cittadini alla difesa della città.

Dalla vicina Pertosa, dove era di stanza un reggimento piemontese, furono subito inviate poche decine di uomini della Guardia Nazionale Italiana e dei Carabinieri per troncare sul nascere la rivolta. Prevedendo una reazione piemontese, i legittimisti e i popolani, armati di tutto punto, respinsero a fucilate il manipolo di soldati. Un affronto del genere, però, non poteva essere di certo tollerato, anche perché era necessario dare un’esemplare e dura prova di forza, come monito per altre città.

Per tale motivo i vertici militari piemontesi decisero di stroncare nel sangue la ribellione. Su Auletta fu riversato un intero contingente di bersaglieri, affiancato da un’assatanata soldataglia della Legione Ungherese, che, per sua natura, si lasciava andare facilmente ad uccisioni, razzie e stupri.

All’alba del 30 luglio i militari, dopo aver sgominato la modesta resistenza dei rivoltosi, entrarono in città, mettendola a ferro e fuoco. Sterminati i pochi ribelli, i piemontesi e, soprattutto, gli ungheresi iniziarono a massacrare anche i civili d’ogni età. Donne e bambini, adulti ed anziani vennero pestati a sangue, umiliati e derubati.

Si racconta di stupri di donne e di fanciulle da parte della squadraccia ungherese, sino ad arrivare alla fucilazione immediata e senza alcuno scrupolo di fronte all’opposizione dei loro familiari. Attila, il famigerato barbaro calato dal nord-est dell’Europa, si sarebbe astenuto dal fare simili azioni o, quanto meno, avrebbe risparmiato le fanciulle.

Tutte le case furono messe a soqquadro in cerca di oggetti d’un certo valore. Non furono risparmiate dalla furia animalesca neanche la chiesa di San Nicola e altre due chiesette. Giuseppe Pucciarelli, il parroco che aveva issato la bandiera borbonica, venne picchiato a morte in pubblica piazza. Stessa sorte toccò ad altri quattro prelati dopo esser stati costretti a inginocchiarsi al cospetto del tricolore. Si racconta anche che uno di loro, nonostante i suoi settant’anni, cercò di alzarsi in piedi per non onorare la bandiera straniera, ma un sergente piemontese gli spaccò il cranio con il calcio del fucile. Furono 45 le vittime civili accertate quel giorno, ma alcune fonti parlano di oltre un centinaio di morti.

Alla fine della rappresaglia, ben 120 cittadini vennero arrestati e tradotti nel carcere di Salerno con l’accusa di rivolta e di cospirazione.

Nel relativo processo, durante il quale non fu concessa agli imputati la possibilità di essere difesi da un loro legale, ben 72 persone furono accusate di aver partecipato alla sedizione di qualche giorno prima. Furono incarcerate, dopo essere state costrette a baciare la bandiera italiana e a giurare fedeltà a re Vittorio Emanuele II, pena l’immediata fucilazione se si fossero opposte. Nonostante l’umiliazione, furono condannate a pene variabili dai cinque agli otto anni di prigione.

Pare che un uomo di oltre ottant’anni, fedele al re Francesco II, si rifiutò di farlo. Gli fu risparmiata la vita, ma fu messo a pane e acqua in una celletta da solo. Fu, però, trovato morto dopo alcuni giorni. Non si seppe mai il motivo della sua morte. Forse fu avvelenato, forse morì di crepacuore. Se ne andò da questo mondo da eroe silenzioso, ma con tanto di dignità ed orgoglio per aver onorato sino in fondo il proprio sovrano e difeso l’appartenenza alla terra campana. Il suo corpo fu portato ad Auletta e consegnato ai pochi popolani rimasti in paese perché gli dessero degna sepoltura. Almeno questo fu un atto di buona umanità.

Come abbiamo spesso raccontato, l’occupazione piemontese non seminò soltanto morte e distruzione fra le schiere borboniche e fra i cosiddetti ‘briganti’, ma spesso e volentieri, ad assaggiare i fucili italiani furono persone comuni, donne e bambini che, come unica colpa, avevano quella di aver difeso la loro terra e le loro radici storiche.

A 145 anni di distanza da quei tragici ed infausti avvenimenti fu posta da una locale Associazione culturale, nella piazza principale del paese, una lapide che così recita. “Auletta 30 luglio 1861 / 145° anniversario / LA STRAGE DI AULETTA / morirono da eroi dimenticati dalla storia / 30 luglio 2006”.

Altri atti scellerati furono compiuti dai Savoia nel Meridione d’Italia. Di alcuni di questi eccidi ingiustificati parleremo in altri momenti.

A questo punto viene da chiedersi: “Perché mai in Italia, nazione altamente democratica, non vengono fatti studiare dagli alunni simili fatti criminali a danno delle popolazioni meridionali, mentre ogni anno vengono puntualmente ricordati – come è giusto farlo – le stragi di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, degli italiani finiti nelle foibe, degli ebrei romani deportati ad Auschwitz, dei soldati italiani fucilati per mano tedesca a Cefalonia e per i martiri delle Fosse Ardeatine?”.

Conclusioni

I Savoia costruirono, storicamente e socialmente parlando, un mondo alla rovescia, in cui gli innocenti (i meridionali) subirono l’invasione delle loro terre senza mai aver dichiarato guerra ad alcuno Stato, furono depredati dei loro beni e delle loro riserve auree, furono trucidati in massa e giudicati come gente miserevole e ignorante, furono derisi, descritti e tramandati alla storia come gli unici colpevoli di un totale disastro nazionale, mentre a loro volta i veri colpevoli (i Savoia) furono giudicati come i salvatori di un’unità d’Italia imposta con la forza a tutti gli italiani, furono considerati come mandati da Dio per correggere la dispotica tirannia borbonica, furono osannati e consegnati alle future generazioni come innocenti.

In quasi 160 anni di unità d’Italia, i tribunali dell’uomo si sono sempre astenuti dal condannare gli autori di quegli ignobili e disumani fatti sangue; sarà senz’altro il tribunale di Dio a punire i veri colpevoli con sentenza severa ed inappellabile.