CLOACA MAXIMA

In Italia si va avanti nel caos più totale e senza un’adeguata programmazione sociale

di Rino Duma

Da quasi un trentennio nei paesi occidentali si assiste impotenti e quasi rassegnati a uno sgretolamento, lento e inesorabile, della libertà e delle regole democratiche, pre- supposti essenziali del vivere civile. L’Italia e la Grecia sono le nazioni in cui si avverte maggiormente lo stato d’insicurezza e di preoccupazione.

E pensare che proprio in questi due Stati sono sorti e si sono irrobustiti il buon Governo, l’equa Giustizia e la migliore Democrazia.

Da giovani studenti, abbiamo appreso sui banchi di scuola il pensiero di grandi personaggi, come Solone, Clistene, Licurgo, Pericle ed Efialte in Grecia e Seneca, Cicerone, Catone il Censore, Catone l’Uticense e altri a Roma.

Sia nell’antica Grecia sia nell’antica Roma i buoni propositi, le sane regole, le virtù (il Bene) finivano alla lunga col prendere il sopravvento sugli inganni, la corruzione, lo sfruttamento e le azioni turpi e faziose (il Male). Anzi, una volta scoperti, i malfattori erano messi alla gogna ed esposti al pubblico ludibrio, per poi essere condannati a pene severe ed esemplari. Alla base del buon governo vi era l’ottima gestione della polis o della civitas, l’imparziale e corretta amministrazione della giustizia, l’oculata distribuzione della ricchezza, secondo le potenzialità e il lavoro svolto da ciascun cittadino.

La Boulé ad Atene era un’assemblea popolare in cui venivano approvate le leggi e nominati i magistrati; a Roma, invece, compiti quasi identici erano espletati dal Senato. Entrambi gli organi pubblici garantivano l’esercizio corretto della democrazia.

Di questo pensiero ci siamo lungamente cibati e serviti nell’espletamento delle nostre attività quotidiane; lo abbiamo trasmesso ai nostri figli e alunni con la stessa energia e vigore con cui i genitori e gli insegnanti ci hanno educato alla vita, alla condivisione, alla tolleranza, al rispetto, a fare buon uso della libertà e ad amare la res publica, al pari della res privata.

Questo magnifico pensiero è entrato a far parte del nostro patrimonio culturale e ci ha connotato e distinto per la vita.

Oggi, ahinoi, pro temporum iniquitate , di quell’antica etica e politica è rimasto solo un ricordo sbiadito, consunto dal precipitare degli eventi, eroso da un modello di sviluppo che si è rivelato inadeguato, discriminante, ingiusto e impietoso, soprattutto nei confronti delle masse popolari.

Sinceramente non so da dove iniziare il mio breve excursus sulle immoralità che connotano la vita quotidiana italiana e greca, e, in misura minore, degli altri paesi occidentali.

Prima di ogni cosa è importante evidenziare lo stato di grave disagio morale e materiale in cui si muove la società contemporanea, sempre più spinta e sollecitata a vivere secondo principi e modelli di vita ben lontani dalle buone ricette educative di un tempo e dalle regole democratiche con cui è stata edificata la Carta Costituzionale degli stati moderni, spesso oltraggiata da governanti senza scrupoli e con mire esclusivamente personalistiche.

Il guaio è che questo squallido stile di vita ha finito, nel tempo, per trasferirsi pari pari dai vertici centrali a quelli periferici, sino a irrompere con forza nelle pieghe del tessuto sociale e a contaminarlo e insudiciarlo, forse irreparabilmente.

Il marciume sociale, fatto di corruzione, scandali, truffe, perversione, odio, violenza, razzismo, avidità, sregolatezza, trivialità, lusso sfrenato, depravazione, è ormai attecchito in ogni strato sociale dei popoli occidentali, soprat- tutto in quelli che si affacciano sul bacino mediterraneo. Sembra proprio che le regole fisse da rispettare siano queste ultime e non certamente quelle per le quali i nostri padri si batterono e perirono in nome di una patria unita e di una vita democratica e morigerata. È una corsa affannosa a chi delinque di più. Ogni aspetto della vita sembra essere intaccato da un virus indistruttibile di immoralità e trasgressioni, che si è infiltrato in ogni strato sociale, da renderlo simile a una suburra infernale.

La società italiana è fortemente compromessa, sfilacciata, disorientata, stordita, abbandonata a se stessa: è un relitto alla deriva in un oceano infinito, un pregiato mobile assalito da tarli, ormai entrato nella fase esiziale, una vera e propria cloaca maxima, in cui confluiscono liquami e rifiuti di ogni sorta e da cui si espandono per l’aria effluvi fetidi e pestiferi. Da questa preoccupante situazione l’Italia difficilmente riuscirà a venir fuori (è come dire a un ubriaco fradicio di muoversi senza barcollare), anzi ritengo che ben presto potrebbe entrare in una pericolosa crisi e in un nervosismo sociale incontrollabile, i cui esiti sono facilmente immaginabili.

Le colpe sono da addebitare esclusivamente ai governi dell’ultimo trentennio, che, invece di bonificare il sistema e condurlo verso un modello di vita più corretto e incorrotto, lo hanno ulteriormente affossato, aggiungendo ulteriori veleni, scandali e ruberie e, quel che è di peggio, edu- cando al male la base cittadina. Neanche la scure di tangentopoli è riuscita a scardinare il fenomeno malavitoso e a dissuadere alcuni personaggi politici dai loro loschi interessi.

Ora, proviamo a fare una breve ricognizione sulla situazione attuale in Italia per sincerarci di quanto siano instabili e preoccupanti i pilastri su cui poggiano le sorti democratiche del paese. Analizziamo gli aspetti più importanti.

La scuola

La pubblica istruzione si muove stancamente dentro tortuose e inspiegabili pastoie burocratiche che l’appesantiscono e l’avvizziscono, rendendola un carrozzone inefficace e inefficiente. I fondi a essa destinati sono “incomprensibilmente” inadeguati e garantiscono appena l’espletamento di una funzione docente arrabattata. D’altra parte è meglio avere una base popolare incolta e impreparata, facilmente manovrabile, piuttosto che cittadini maturi e responsabili. Questo era il pensiero di alcuni personaggi politici e religiosi dell’Ottocento italiano; questo è il pensiero di molti politici di oggi.

Ma procediamo nel nostro esame. Un buon 30% del personale scolastico, docente e ausiliario, è assunto annualmente in via precaria. Il che significa che una parte considerevole di operatori scolastici sono costretti, di anno in anno, a lavorare in scuole diverse e, quel che è peggio, a interrompere la continuità didattica con i discenti. Questo personale, oltre a essere discriminato, è sottopagato e non gode di tutti diritti riservati al personale di ruolo.

A voler fare un solo esempio di “mala istruzione” citiamo il caso della regione Lombardia, che destina alla scuola privata, cioè alla scuola d’élite, il 65% delle sussistenze di bilancio, mentre alla scuola pubblica, quella cioè da baraccopoli, solo il 35%. Una vera vergogna per una regione che si proclama democratica. Ma c’è da aggiungere, inoltre, che nelle scuole private non sono accettati gli alunni portatori di handicap: questi, ovviamente, essendo di enorme peso gestionale, sono scaricati al carrozzone della scuola pubblica. Doppia vergogna, per una regione che si dichiara (sulla carta) sensibile e attenta alle problematiche di chi è stato segnato dalla sfortuna.

La sanità

Per quanto riguarda la sanità, forse non tutti sono a conoscenza che buona parte dei fondi statali è riservata alle regioni del Nord Italia, mentre al Sud sono destinate le briciole e il pane raffermo. Basta vedere che negli ospedali di Napoli o Palermo alcuni ammalati sono sistemati nei corridoi per insufficienza di posti letto, mentre stranamente in quelli di Milano, Torino, Bologna l’accoglienza è delle migliori. Anche le apparecchiature utilizzate nel meridione risultano quasi sempre obsolete; allo stesso modo, le migliori risorse umane nel campo medico e chirurgico sono “allettate” da corposi contratti dalle cliniche private o dalle Asl del Settentrione. Insomma, al Sud viene garantito soltanto un sistema di mantenimento della sanità pubblica, mentre al Nord uno di eccellenza. Altro che Unità d’Italia!

La famiglia   

Un tempo rappresentava la cellula di base della società, oggi rimane soltanto un modesto e instabile punto di riferimento, sul quale non si possono fare grandi progetti. La famiglia è stata di fatto soppiantata da uno status aggregativo molto fluido, snello, temporaneo, evaporabile, qual è quello rappresentato dalla convivenza tra giovani, i quali preferiscono affrontare l’immediatezza della vita, piuttosto che assumersi grandi e gravosi impegni in una società sempre più incerta, mutevole, farraginosa. La crisi della famiglia è attestata anche dal continuo e preoccupante aumento dei divorzi delle giovani coppie. Mai, negli ultimi trent’anni, è stata fatta un’adeguata politica per rafforzare i nuclei familiari e garantire la loro sopravvivenza.

La giustizia

Al pari della scuola è un macchinoso carrozzone che si muove tra mille difficoltà. Anche in questo settore i fondi stanziati annualmente sono ridicoli e bastano soltanto a garantire il minimo indispensabile a far sopravvivere i vari organi di giustizia, il cui personale (sotto organico) è oberato come non mai da un lavoro asfissiante e impossibile da gestire. A volersi fare un’idea delle tante difficoltà in cui si dimenano gli impiegati, i cancellieri e gli stessi magistrati, basti pensare che ancor oggi sono in dotazione i computer Pentium, datati 1996 o giù di lì, fotocopiatori e fax tecnologicamente superati. Quel che più disturba è che i vari computer non sono abilitati all’utilizzo di internet. Come se non bastasse, gli armadi sono insufficienti, tant’è che le varie pratiche sono sistemate in faldoni per terra a disposizione di chiunque, anche di coloro che hanno interesse a far sparire interessanti documenti. Il più delle volte i magistrati sono costretti a utilizzare il proprio portatile o la propria stampante per superare il grave handicap burocratico. Cose da Medioevo!

La sicurezza

Peggio di peggio. I quasi centocinquantamila in organico tra carabinieri, poliziotti e finanzieri sono insufficienti a garantire un efficace sistema di sicurezza. Oltretutto, un buon 40% di queste forze svolge compiti amministrativi, mentre un altro 20% è utilizzato nelle scorte dei personaggi politici importanti oppure come presidio di sicurezza presso le pubbliche istituzioni (Parlamento, Sedi dei ministeri, Capo dello Stato, Prefetture, Rai, Consolati e via discorrendo). Insomma, solo poche decine di migliaia di militari sono chiamate a garantire e a sorvegliare sulla sicurezza e l’ordine pubblico.

Conclusioni

Ci siamo limitati a fare una breve relazione sui problemi più importanti della vita sociale italiana, ma vi sono altri non meno rilevanti, come il lavoro, l’inquinamento, i rifiuti, la casa, gli extracomunitari, lo spaccio e l’uso di droga, le truffe borsistiche, ecc.

I rimedi per ovviare a queste brutture ci sono ma, purtroppo, manca la buona volontà per attuarli e venir fuori da questo marasma generale. Basterebbe eliminare le numerose spese legate ad enti statali inutili per snellire le varie branche dell’amministrazione pubblica e rendere più efficiente il servizio dello Stato. Si pensi, per esempio, ai vantaggi che ne deriverebbero eliminando le forze armate (esercito, aeronautica e marina) e lasciando in vita solo un modestissimo numero di volontari per arma. Sorgono spontanee alcune domande. Perché mantenere in vita un apparato di oltre duecentomila militari, peraltro non adeguatamente istruiti ed equipaggiati? A cosa servono gli aerei supersonici e gli elicotteri di ultima generazione, i tanti carri armati e blindati, le navi, i sommergibili, la portaerei, la portaelicotteri, le caserme e gli arsenali, in termini di produttività sociale? Si badi bene che un buon 25% del bilancio annuale dello stato italiano è riservato alle forze armate. Con questi fondi si potrebbe migliorare, e di molto, le sorti della scuola, della sanità, della giustizia, della famiglia e della sicurezza interna.

Si può e si deve invertire rotta per rendere il futuro meno incerto e far crescere adeguatamente i cittadini, offrendo loro un lavoro dignitoso, una casa in cui vivere e, soprattutto, una scuola che costruisca uomini forti e responsabili. A costo di grandi sacrifici, si può fare.

Sosteneva Immanuel Kant che “la società umana non va considerata come il mezzo con cui il cittadino costruisce la propria felicità, bensì come il fine ultimo per perseguire quella di tutti”. Per arrivare a tanto bisogna puntare con ogni mezzo a un’istruzione scrupolosa e a un’educazione adeguata nei confronti delle giovani generazioni. Seguendo tale direttiva, si riuscirà sicuramente a sciogliere il nodo di tutti i problemi della nostra Bell’Italia.

È necessario, perciò, rifare gli italiani, se pretendiamo di vivere in una società diversa, più libera e più democratica. Un’Italia guidata da uomini che si spendano per il bene dei cittadini e che non si arroghino il privilegio e l’arbitrio di decidere incondizionatamente in favore di pochi. Un’Italia di tutti e per tutti.