Donato Moro Civis Galatinus

DONATO MORO

CIVIS GALATINUS

Ad un secolo dalla nascita

di Giovanni Leuzzi

Ricorreranno l’8 novembre prossimo i cento anni dalla nascita di Donato Moro, uno dei figli più illustri della   Galatina del XX secolo, che poi chiuse la sua fecondissima parabola terrena il 22 dicembre del 1997, all’età di 73 anni, a seguito di una brutta rapida malattia. La notizia della sua morte – lo ricordo come fosse ieri – attraversò e scosse la città, i gruppi politici e il Consiglio Comunale che era stato convocato per il pomeriggio dello stesso giorno. Donato era infatti capogruppo dell’Ulivo nello stesso organo, in quanto candidato sindaco del centro-sinistra, ma non eletto nel turno di ballottaggio del 23-6-’96 tra lui e il vincitore Giuseppe Garrisi. La seduta del Consiglio, dopo un minuto di raccoglimento, fu rinviata, non senza però aver dato la parola ai consiglieri che lo avessero voluto ricordare per il suo profilo di politico, uomo di scuola e cultura, e maestro per le giovani generazioni. La cerimonia funebre del giorno successivo, alla presenza di tantissimi cittadini galatinesi e di amici e rappresentanze anche istituzionali dell’intera provincia, fu officiata dall’allora arcivescovo di Otranto, mons. Cacucci, che nella sua sentita commemorazione ricordò e confermò il profondo legame di Moro con la città dei martiri, un legame nutrito dai suoi continui e profondi studi sulla vicenda storico-religiosa del 1480 e dai contributi forniti, da perito storico, nel lungo processo di canonizzazione degli 800 otrantini.

Né fu per caso che toccò a Donato dettare l’epigrafe apposta sulla spianata del Colle dei Martiri il 5-10-1981, ad un anno di distanza dalla storica visita di papa Giovanni Paolo II ad Otranto per i 500 anni dall’eccidio. Epigrafe nella quale trasfonde la sua profonda emozione e che così recita: “DA QUESTA PIANA DI TERRA E MARE/ NELL’ANNO CINQUECENTESIMO DEL MARTIRIO/ DI OTRANTO VIOLENZA DI TURCHI OTTOMANI/ MANO BENEDICENTE NEL SOLE/ GIOVANNI PAOLO II PAPA/ LEVO’/ MESSAGGIO DI PACE E GIUSTIZIA/ AI POPOLI D’ORIENTE/ AL MONDO INTERO/ NEL PRIMO ANNIVERSARIO OTRANTO POSE/ 5-10-1981/  DONATO MORO”.

Egualmente suggestiva era stata, nell’occasione della visita ad Otranto dell’ottobre del 1980, la pur fugace sosta di Giovanni Paolo II a Galatina, presso l’aeroporto, accolto da un raggiante on. De Maria, eletto sindaco nel ‘78, dopo la sua lunghissima presenza (trenta anni, dal 1946 al 1976) alla Camera dei Deputati. E proprio allora, al “… successore di Pietro nella città di san Pietro”, come De Maria aveva salutato il papa su Il Galatino del 25-9-’80, venne conferita la cittadinanza onoraria di Galatina, con la consegna delle chiavi della città.

Sarà poi il Consiglio Comunale di Otranto a conferire al nostro Donato, con la deliberazione unanime del 15-01-2013 la cittadinanza onoraria in memoriam … “Per i fondamentali ed originali contributi alla conoscenza storica della città di Otranto dal Medioevo all’età protomoderna, in cui ha posto in significativo risalto i caratteri originari e specifici del microcosmo idruntino nel bivalente rapporto tra Bisanzio e l’Occidente”. Detta onorificenza gli fu concessa dopo i quindici anni dalla morte, a seguito della giusta iniziativa dell’Università del Salento e della Società di Storia Patria della Puglia, sez. Lecce, tesa ad onorare l’illustre studioso. Venne così fuori un corposo volume di “Studi in memoria di Donato Moro”, dal titolo Umanesimo della terra, che vide la luce nell’aprile del 2013 per le Edizioni Grifo e fu oggetto di diversi incontri pubblici nei mesi successivi. Detto volume si giova dei contributi di tanti validi suoi amici, che hanno ripreso gli studi non solo sulla biografia di Donato, ma anche sul Moro uomo di scuola, filologo e poeta, grande otrantista e altrettanto grande studioso del “suo” Galateo, il grande umanista meridionale cui lo legava una sorta di corrispondenza d’affetti, nonché sul Moro impegnato in politica in due periodi molto lontani tra di loro, all’inizio della sua parabola pubblica e, poi, alla fine della sua vita.

Aldo Moro al matrimonio di Donato

Dopo la morte, la moglie, Maria Marinari, con la quale allora ebbi il privilegio di stabilire una bella e feconda amicizia, volle far raccogliere e pubblicare una Antologia poetica delle sue “sparse” poesie, silloge curata da M. Pisanò ed edita da Mario Congedo nel 2004. Già nel 2002 era venuto fuori, in verità, il prezioso volume in due tomi cartonati della Congedo Editore Hydruntum-Fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480 che, sempre a cura di Pisanò, e col corredo di straordinaria documentazione storico-cartografica, raccolgono i saggi e gli articoli che Moro aveva scritto tra il 1971 e l’agosto del 1996, sostenuto da una passione storico-filologica sofferta e spesso tormentata dalla ricerca documentale, nel quadro di un aspro dibattito tra studiosi che interessava i fondamenti stessi della complessa vicenda otrantina. E poi nel 2008 la Congedo Editore pubblicherà la bellissima ristampa curata da Giancarlo Vallone del volume Per l’autentico Antonio De Ferraris Galateo, che Moro aveva pubblicato a Napoli, con l’editore Ferraro nel 1991, in una collana diretta da Aldo Vallone, il grande italianista galatinese, a cui è dedicata l’opera.

Un lavoro, quello promosso dalla moglie Maria, venuta a mancare ultranovantenne proprio l’anno scorso, importante per il recupero della memoria e dell’opera di Donato, che va utilmente riscoperta dato anche il ritorno di fiamma sia sulla figura del Galateo, finalmente riconosciuto grazie anche a importanti contributi di valorosi studiosi, da  C. Vecce a S. Valerio e M. Marti, da D. Defilippis a F. Tateo e G. Vallone, e sia sulla complessa vicenda otrantina, amplificata dalla canonizzazione degli ottocento martiri avvenuta sotto papa Francesco nel maggio del 2013.

Tornando al progetto di Umanesimo della terra, io, che ero diventato amico di Donato negli ultimi anni della sua vita, quando era stato nominato coordinatore dell’Ulivo nel Collegio Camerale di Galatina, ebbi l’invito dei curatori a scrivere qualcosa su di lui, e decisi di toccare una nota solo sfiorata, come poi verificai, negli scritti degli altri amici. Venne fuori un corposo saggio, che mi costò non poca fatica e ricerca, che intitolai:

 “L’Umanesimo integrale di Donato Moro – Cultura, laicità e impegno politico in un civis galatinus del nostro tempo”. Detto saggio bypassava completamente il Moro ispettore centrale della P.I., il Moro poeta, filologo, storico e ricercatore, per sviluppare il rapporto del cittadino Moro con la sua città e la sua terra, il percorso civile e politico di un credente formatosi nello straordinario crogiolo di cultura cattolica che era stata la Galatina del secondo dopoguerra e poi nella FUCI, l’organizzazione degli universitari cattolici, e nella culla di privilegio della Normale di Pisa, dove era riuscito ad entrare, egli figlio di una famiglia povera,  grazie alle borse di studio, e proprio a Pisa aveva incontrato Maria Marinari, esule fiumana, poi divenuta la compagna della sua vita e sino alla morte testimone preziosa della tragedia istriano-dalmata.

Donato Moro e Maria Marinari

Nello scrivere del Moro civis galatinus, capii ben presto di dover affrontare un tema assai complesso. Io conoscevo bene l’ultimo Moro politico, quello dell’Ulivo e della sfortunata candidatura a sindaco, avevo notizie del Moro giovane dirigente della DC di Galatina e assessore provinciale alla Pubblica Istruzione e fautore importante della Istituzione dell’Università di Lecce, prima Libera Università e poi, nel 1960, Ateneo riconosciuto dallo Stato. Tuttavia, man mano, ho scoperto una straordinaria ricchezza di rapporti umani, di battaglie politico-culturali, di feconda e combattiva presenza nella vita amministrativa della sua città e della provincia, che egli seguiva sempre con attenzione e puntualità. Infatti, nonostante fosse sempre in giro per l’Italia per il suo lavoro di Ispettore Ministeriale, mai spostò la sua residenza da Galatina, da quella via Liguria, civico 26, ove viveva con la moglie in un modesto appartamento di una palazzina degli impiegati, l’officina del suo lavoro di scrittura, casa che egli amava profondamente, a conferma di un legame con la sua città che non si attenuò mai. Una tale ricchezza di rapporti mi ha costretto ad un’indagine a tutto campo a partire dalla formazione di questo giovane fucino e pre-fucino, attivo già in Galatina nel settembre del ’43, nel primissimo nucleo costitutivo della DC. Aveva partecipato ai primi incontri dei cattolici galatinesi, soprattutto giovani universitari sotto la guida spirituale di don Antonio Dimitri, quando la guida della DC era stata affidata all’avv. Achille Fedele, cui i giovani si accodano ingenuamente, come riferisce Donato in una lettera pubblicata su Il Corriere di Galatina (il bellissimo periodico del compianto Carlo Caggia) del 15-6-’76, nella quale ricostruisce da par suo la convulsa fase della formazione dei partiti dopo la caduta del fascismo. Ma poi, tornato Beniamino De Maria dal servizio militare nel 1945, saranno proprio quei giovani cattolici ad aderire con entusiasmo al progetto caldeggiato dalla chiesa galatinese (in primis il parroco don Salvatore Podo, don Antonio Dimitri e il più giovane don Pippi Tundo, anch’egli rientrato dal nord nel 1945) e dalla curia otrantina di emarginare il Fedele ed affidare a De Maria la guida della DC locale. “In lui -scrive Moro- si vedeva il filone autentico dell’Azione Cattolica, che poi doveva caratterizzare in tanta parte la fisionomia della DC galatinese … e che doveva sempre conservarle una connotazione di integralismo confessionale, a volte addirittura esasperato”. E De Maria, che allora non sentiva particolare propensione per la politica, essendo la sua vita vocata alla scienza medica e alla fede misticamente vissuta, dinanzi alla stringente insistenza anche dell’arcivescovo mons. Cuccarollo, come testimoniato da Zeffirino Rizzelli in un suo scritto sul grande politico galatinese del 1996, accettò quella chiamata come una missione, e a quella missione da quel momento dedicherà tutta la sua vita, a tanti livelli e sino allo sfinimento, fino alla morte avvenuta l’8 marzo del 1994.

Dopo questa fase dell’immediato dopoguerra, da rileggere con attenzione per l’incrocio, nella Galatina del tempo, dell’azione di tanti personaggi di così alto spessore, il rapporto politico e civile di Donato con la sua terra lo possiamo scandire, per chiarezza, in tre momenti:

  • Dagli anni ’50 al 1964, di impegno nella politica cittadina e provinciale, col conforto di vasti consensi nelle diverse tornate elettorali, nel quale periodo svolse il ruolo di consigliere comunale a Galatina e di consigliere e assessore provinciale alla P.I., carica che ricopriva quando, miracolosamente sotto certi aspetti, l’apatica e inerte nostra provincia riuscì ad istituire l’Università degli Studi ad opera di uomini illuminati, tra i quali Donato ebbe un ruolo di un certo peso. Fu anche Consigliere delegato alla gestione dell’Ospedale Psichiatrico e, a Galatina, fece parte del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale civile “Antonio Vallone”. Ma risale al ’64 la clamorosa rinuncia di Moro, ancora giovane e numero due della DC dopo De Maria, alla ricandidatura al Consiglio Provinciale richiestagli dai vertici del suo partito, rinuncia che venne sancita da una bella ed illuminante lettera-confessione, nella quale ho colto un’altissima lezione morale, civile e politica, proprio in un momento che avrebbe potuto proiettarlo verso più ambiziosi traguardi e riconoscimenti politici. Sarà comunque ancora rieletto, e con impressionante consenso, a consigliere comunale nel 1966;
  • Un lungo periodo successivo, fino al ’95, di distacco dalla politica attiva. Ma, accanto al suo lavoro nella scuola, al Ministero, negli archivi e sui libri, sono frequenti ed appassionati i suoi interventi, i suoi saggi, i suoi articoli sui temi della Resistenza, della politica, nazionale e cittadina, della apertura della DC ai socialisti, della battaglia a difesa della legge sul divorzio, a conferma di sempre più evidenti posizioni di laicità, aperture sociali e di progresso innescate dal nuovo orizzonte di centrosinistra. Emerge il profilo di un democristiano di sinistra, vicino ad Aldo Moro, combattivo antifascista e democratico, nel segno di un crescente distacco dal suo vecchio amico Ninì De Maria, ostile a qualsiasi apertura a sinistra.

La vicenda, però, che in questo periodo tocca e sconvolge l’animo di Donato fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, una ferita che si portò per tutta la vita e lo spinse spesso ad intervenire contro gli organi dello Stato e gli alti esponenti della DC che non avevano impedito quell’efferato epilogo. Come accadde – a testimonianza di Francesco Rausa – in un incontro forse al Cavallino Bianco, quando egli attaccò pesantemente uno sconcertato Francesco Cossiga, non ancora Presidente della Repubblica. Dicevamo ferita, perché Donato era secondo cugino di Aldo: i nonni, rispettivamente Pietro Donato e Salvatore, due dei cinque figli di Cosimo Moro e Giuseppa De Paolis, erano fratelli, membri di una articolata famiglia presente ab immemorabili a Galatina e su cui Donato aveva fatto estenuanti ricerche negli archivi parrocchiali e non solo. Tutte queste carte, partecipatemi in copia dalla sig.ra Maria, serviranno, per un successivo mio contributo su Galatina e la famiglia di Aldo Moro, su cui tanto si è pure scritto in tante sedi, ma spesso sulla base di dicerie e conseguenti illazioni prive di fondamento.

  • L’ultimo periodo: Donato va in pensione nel 1995 e nello stesso anno si rituffa nella politica attiva, aderendo con entusiasmo al progetto dell’Ulivo di Romano Prodi, in un clima di rinnovata speranza nella politica. Scrive articoli, partecipa ad incontri, è nominato coordinatore di Collegio, con la conseguente costituzione di Gruppi di Lavoro sulle Tesi dell’Ulivo, in vista dell’Assemblea Provinciale di Programma del 24-25 febbraio 1996. Ma la situazione politico-amministrativa in Galatina precipita: il sindaco Rizzelli cade, essendosi la sua coalizione sfaldata per criticità con l’area dei Popolari e il gruppo di Area Socialista. Si deve rivotare in primavera e, nella impossibilità di ricandidare Rizzelli, onesto e valido amministratore, ma ritenuto rigido e divisivo in un quadro politico che richiedeva ampie aggregazioni, Moro sembrò la persona giusta per incarnare tale esigenza. Ma elettoralmente non si rivelò la scelta vincente. Poi, già l’agosto dello stesso anno, come scrive Gino Pisanò, “… rappresentò, per l’amico perduto, l’inizio di un calvario che si concluse con la morte”.

Da parte mia un solo auspicio: che la città di Galatina, ad un secolo dalla nascita, voglia ricordare ed onorare questo suo grande figlio, per quello che merita e per quanto può ancora insegnare.