Emanuele Perrone

Emanuele Perrone

Marinaio d’Italia

 di Giuseppe Albahari

Emanuele Perrone

Il 10 giugno 1940 il sommergibile italiano “Galvani” lasciava la base di Massaua, in Eritrea, con l’ordine di operare intorno all’imboccatura del golfo di Oman.

L’ordine, segreto per i marinai italiani, era, però, ben noto allo spionaggio nemico, da consentire allo Stato Maggiore inglese di deviare il traffico commerciale da quella zona, inviandovi invece la corvetta “Falmouth” e il cacciatorpediniere “Kimberly”.

La sera del 23 giugno furono tali unità ad avvistare il “Galvani” in emersione e a bersagliarlo con un preci-so cannoneggiamento. L’immersione fu rapida, ma non tanto da evitare che fosse colpita la poppa del natante, il quale sarebbe affondato velocemente, se il secondo capo silurista Pietro Venuti non si fosse immolato, serrando la porta stagna per evitare l’allagamento dello scafo, ma chiudendo se stesso nel locale, che intanto si allagava.

Ormai irrimediabilmente danneggiato, al buio, bersagliato dalle bombe di profondità, il “Galvani”, cercò di riemergere per tentare una difesa con il cannone e, insieme, di mettere in salvo i sessanta uomini che costituivano l’equipaggio.

Smg. Galvani nel Golfo di La Spezia

Le macchine erano affidate al capo meccanico Emanuele Perrone, il quale incontrava ostacoli sempre più crescenti a governare il sommergibile, tanto che, nonostante la sua riconosciuta esperienza, riuscì a far emergere soltanto parzialmente il natante a causa dell’allagamento della parte poppiera dello scafo. La situazione divenne sempre più ardua e difficile, ma, grazie alla preziosa e puntigliosa opera del Perrone, il sommergibile restò a galla il tempo necessario per dare modo ad alcuni membri dell’equipaggio di mettersi in salvo, per poi sprofondare nell’abisso.

Infatti, appena fu dato l’ordine di abbandonare la nave, si salvarono il comandante Renato Spano, il suo vice Goiran, altri ufficiali e dei componenti l’equipaggio, tra cui anche il comandante di macchine.

Colando a picco per la poppa, il “Galvani” trascinò con sé ventisei persone, fra cui il Capo Emanuele Perrone ed un guardiamarina che, già in salvo, era ritornato a bordo per tener fede alla consegna di distruggere i cifrari.

Porto di Massawa

I sopravvissuti furono tratti a bordo della corvetta “Falmouth” che incrociò per ventiquattro ore cavallerescamente sul luogo dell’affondamento alla ricerca di eventuali altri superstiti.

Una volta a bordo, né il silenzio né i ripetuti dinieghi valsero ad evitare l’identificazione dei prigionieri, poiché gli inglesi, oltre a conoscere i piani di guerra e i punti di agguato affidati ai vari sommergibili italiani operanti nel Mar Rosso, disponevano anche di un dossier con foto di tutti gli ufficiali del “Galvani”. Piani che erano vecchi già di due anni.

Ora soffermiamoci a narrare la toccante storia nei dettagli, partendo da quella famosa mattina del 10 giugno 1940.

Il giovane Emanuele, ricevuta la lettera d’imbarco, era raggiante di gioia per l’improvviso ordine di salpare per una pericolosa operazione.

Porto di Massawa

Scuoteva più volte la testa e un sorriso gli allargava il viso tra gli occhioni azzurri, quando un suo amico compaesano, in servizio a terra, tentava invano di distoglierlo dal partire.

Rimani, ti prego, datti malato, ma non partire. Sento che accadrà qualcosa”, aveva ripetuto più volte l’amico, pur sapendo che nient’altro poteva attendersi da lui, se non un diniego, un sorriso e una pacca sulla spalla.

Ne ho sentite tante di queste storie di premonizioni in quasi vent’anni di mare…” – diceva il capo Perrone – “…A dare retta a tutte…”.

Infatti, Emanuele aveva trascorso vent’anni sul mare e “sotto il mare” da allievo fuochista, appena era stato inquadrato alla ferma, nel 1922, fino a capo macchinista di seconda classe, in una serie di imbarchi sulle navi “Caio Duilio”, “San Giorgio”, “Montecristo”, sul Mas “Ola”, sui sommergibili “N. 10”, “Delfino” e, per ultimo, sul “Galvani”, in un girovagare da un porto all’altro, da un continente all’altro, con qualche fugace salto nella sua Gallipoli, dalla sua cara Pasqualina, dal suo piccolo Giovanni.

Ma la guerra è guerra…” – pensava Emanuele – “… e gli uomini devono fare il proprio dovere, a qualunque costo…”.  

L’uomo, dopo aver salutato l’amico, inforcò la bicicletta e corse via verso il porto ad unirsi agli altri commilitoni. Lungo quell’interminabile strada gli si presentavano via via barriere, cavalli di frisia, posti di blocco e poi… finalmente il porto e il “Galvani”, alla cui vista gli altri pensieri svanirono come d’incanto.

Navigare e salvare la nave e i compagni” – questo era l’imperativo, a qualunque costo

E la famiglia?… E il piccolo Giovanni di cui sta per ricorrere l’onomastico?

Ci avrà senz’altro pensato Emanuele, certamente! Al figliolo e alla famiglia sono andati i suoi ultimi pensieri… ma l’onore, l’Italia, i compagni, il dovere, a qualunque costo.

Il destino aveva deciso che il mare arabico si richiudesse per sempre su quell’unità navale, di cui abbiamo potuto ricostruire la storia dell’ultima missione grazie al volume di Teucle Meneghini “Cento sommergibili non sono tornati” (edizioni C.E.N. Roma).

Operazioni carico/scarico materiale bellico nel Porto di Massawa

Ma se si chiude con l’affondamento la vicenda del “Galvani”, le numerose prove di coraggio e di eroismo dei suoi uomini ebbero un seguito luminoso.

Una medaglia d’oro al secondo capo silurista Pietro Venuti, nativo da Cadroipo (Udine), una medaglia d’argento al Capo meccanico Emanuele Perrone da Gallipoli (Lecce), medaglie di bronzo a numerosi membri dell’equipaggio distintisi per episodi di eroica solidarietà e di valore, come l’anonimo guardiamarina (almeno per noi, poiché non siamo riusciti a rintracciare il suo nome) perito per distruggere i cifrari.

La motivazione della Medaglia d’argento al valore militare “alla memoria” concessa ad Emanuele Perrone recita: “Imbarcato su sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere per i gravi danni subiti ad opera di navi avversarie, all’ordine di abbandonare l’unità in procinto di affondare, si attardava all’interno del sommergibile nel disperato tentativo di protrarre la galleggiabilità, onde permettere la salvezza dell’equipaggio. Scompariva in mare nell’adem-pimento del dovere, sempre serenamente compiuto. Nobilissimo esempio di elevate virtù militari. Mare arabico, 24 giugno 1940”.

Il locale gruppo dell’Associazione nazionale Marinai d’Italia ha intitolato ad Emanuele Perrone la propria sezione.