PROFUGHI EBREI IN SANTA MARIA AL BAGNO

1944/1947

di Carlo Pisacane

“There is a small corner on the nap barely visible now, but at that time for some of us it was the center of the universe. It was then as now called S. Maria Dei Bagni.” (C’è un piccolo angolo della carta geografica appena visibile adesso, ma in quel periodo per alcuni di noi esso era il centro dell’universo. Era chiamato allora come oggi Santa Maria al Bagno).

Santa Maria al Bagno – 1946 – Arrivo di profughi ebrei

Questo, tra l’altro, scrive l’8 marzo ’98  Ottfred Weisz, ora cittadino americano, che nella sua fan- ciullezza ha avuto la sfortuna, essendo ebreo, di vivere in Austria con la sua famiglia nel periodo della Shoah. Ha avuto però la fortuna, al contrario dei suoi genitori e della sorella che hanno finito tragicamente la loro esistenza ad Auschwitz, di essere nascosto e protetto in Italia in un orfanotrofio di Vercelli e successivamente ricoverato nel campo profughi di Santa Maria al Bagno.

Santa Maria al Bagno – la spiaggia

In Santa Maria al Bagno, continua la sua lettera, si sentì finalmente al sicuro e protetto, anche se ancora preso dall’ansia per il futuro incerto che lo aspettava. Non aveva più una casa a cui tornare. Non aveva certamente voglia di tornare nel suo paese che l’aveva tradito mandandolo con la sua famiglia in un campo di concentramento.

Pian piano, però, l’ansia e la paura passarono e tornò la voglia di vivere. Imparò a nuotare ed a tuffarsi nelle acque profonde, scoprì la bellezza del mare esplorandone tutte le insenature e gli anfratti più nascosti, e provò anche la sensazione non piacevole di mettere il piede su di un riccio. Nessuno potrà mai togliere dal suo cuore il ricordo di S. Maria al Bagno e della sua gente.

Anche Fina Schotten, che in quel periodo aveva quattordici anni, ed era la maggiore delle sorelle, arrivò in Santa Maria al Bagno, come racconta in una bellissima lettera: “traumatizzata e terrorizzata, reduce, tra l’altro, da una detenzione in prigione tra prostitute, assassine e condannati a morte. Alle “Sante” (così ancora oggi, ritrovandoci tra amici, chiamiamo S. Maria al Bagno, S. Caterina e S. Maria di Leuca) seppi cos’è la libertà, la dolcezza delle genti…” e conclude: “Quando lasciammo S. Maria eravamo nuovamente persone civili e normali, pronti ad affrontare una nuova vita. Grazie a Dio per aver creato S. Maria Bagni a cui auguriamo tanta prosperità”.

Fina Shotten

 Non sono poche le testimonianze di questo tipo.  S. Maria e la sua gente continua ad avere, a distanza di oltre cinquanta anni, un posto nel cuore degli ebrei che sono stati ricoverati nel campo profughi dal 1944 al 1948. Sicuramente avranno trovato qualcosa di bello per cui vale la pena di ricordare.

Santa Maria, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale era una località turistica molto rinomata, tra le più frequentate dell’Italia meridionale tanto che, grossi personaggi del calibro di Tito Schipa o Arturo Toscanini l’hanno onorata con la loro presenza più di una volta quando erano all’apice della fama.

Forse proprio per questo le forze alleate hanno scelto Santa Maria per allestire il campo profughi prima per gli slavi e dal 1944 per gli ebrei, la maggior parte, reduci dai campi di concentramento.

Bambini ebrei rifugiati con assistente

Oltre le case di S. Maria, furono requisite le case delle Cenate, di S. Caterina e di Mondo Nuovo.

Gli ebrei che transitarono nel campo furono alcune migliaia tra cui Dov Shilansky, deputato del parlamento d’Israele (Knesset) dal 1977 al 1996 di cui fu Presidente dal 1988 al 1992.

Stando ai ricordi dei residenti, ma per adesso non supportati da alcun documento, furono presenti anche personaggi di rilievo per il futuro stato d’Israele, come David Ben Gurion all’epoca Presidente dell’Organizzazione ebraica mondiale che nel 1948 guidò il popolo ebraico alla proclamazione dello stato d’Israele, di cui fu il primo Presidente e Golda Meir, Primo Ministro dal 1969.

Nel campo non mancava niente che ricordasse ai profughi la loro religione e le loro tradizioni. C’era la sinagoga in piazza, dove attualmente c’è il bar Piccadilly, la mensa ed il centro di preghiera per bambini e orfani nell’attuale panificio Striani, il Kibbutz (fattoria collettiva) “Elia” nella vecchia masseria “Mondonuovo”.

Santa Maria al Bagno – Camion con soldati e persone del luogo

 Erano anche assicurati tutti i servizi necessari alla vita  di una comunità di tali dimensioni: ospedale, convalescenziari, ufficio informazioni, collegamenti con i paesi vicini, servizio postale, sartoria, magazzini deposito di viveri, coperte, abbigliamento, deposito di legna carbone e carburanti, officina meccanica dell’autoparco e tutto ciò che serviva alla comunità, compreso un campo di calcio all’Aspide.

Il comando alleato affidò l’incarico di “Major” ad un cittadino del luogo, Paolino Pisacane, cui era affidata la risoluzione di molti problemi logistici e la cura dei rapporti del comando con i cittadini residenti; per questo lavoro veniva pagato un dollaro al giorno, oltre, naturalmente, le sigarette che non mancavano mai, ed un po’ di scatolette di carne.

Durante la loro permanenza, furono celebrati 368 matrimoni, tra cui quello di Giulia My di Santa Maria al Bagno con Zivi Miller profugo di origine rumena che aveva perduto moglie e figlio nei campi di concentramento ed autore dei murales di Santa Maria al Bagno, Stella Campa di Nardò con Brand Majer profugo di origine polacca e Santa Sambati di Galatina con Brusel Jankel profugo di origine polacca.

Dei disegni sbiaditi ed ormai quasi irrimediabilmente perduti, sono tutto ciò che resta di visibile della presenza dei profughi ebrei in S. Maria.

Murales

Eppure Zivi Miller, ebreo polacco scampato alla ferocia dei nazisti ed altri suoi amici profughi, con quei murales hanno cercato di lasciarci le loro paure, le loro gioie e le loro speranze.

La paura, nel murales principale, è la cortina di filo spinato che nel centro Europa li ha tenuti rinchiusi nei campi di concentramento facendogli soffrire pene inimmaginabili.

La gioia di chi, più fortunato, è scampato alla morte e si ritrova a rivivere una nuova esistenza proprio nel Salento ed in S. Maria in particolare.

La speranza di ritornare nella “Terra Promessa” al di là del Mediterraneo dove dalla sabbia del deserto sorge il sole di un nuovo giorno per una nuova vita.