I passione tu Cristù

I PASSIUNA TU CRISTU’

(LA PASSIONE DI CRISTO)

La cantata popolare fondamento identitario dell’area grika del Salento

di Giovanni Leuzzi

 

La cantata popolare “I Passiuna tu Cristù” (La Passione di Cristo) ha rappresentato un momento assai importante di vita religiosa e sociale delle comunità grike del Salento. Negli ultimi anni dell’800 Vito Domenico Palumbo, illustre grecista di Calimera, ne registrava nei suoi “Quaderni” una versione di Corigliano di 52 strofe, che appare in Canti grecanici di Corigliano d’Otranto, Congedo Editore, Galatina, 1978, pp. 24-47. Ancor prima, in Studi sui dialetti greci della Terra d’Otranto, Lecce, Tip. Ed. Salentina, 1870, il nostro grande Giuseppe Morosi aveva pubblicato una bella versione raccolta a Martano, titolata La Passione di Cristo, insieme a Canto delle Palme, altro canto di questua, in cui si inserisce ad incastro l’intera Passione. Ma l’origine del canto, arrivatoci per tradizione orale, risale ad epoche molto più antiche. La riproposizione, di cui oggi esso è oggetto nel periodo pasquale ad opera di diversi gruppi musicali dell’area, può considerarsi, infatti, come un’operazione assolutamente benemerita sul piano culturale, ma certamente non ne consente più la comprensione sul piano narrativo ed emozionale sia per la inesorabile diminuzione dei parlanti in griko, sia per il venir meno delle profonde motivazioni psicologiche, religiose e sociali cui il testo e la ritualità della rappresentazione rimandano.

Per i griki, infatti, la Pasqua consisteva nella partecipazione al rito collettivo de “I Passiuna tu Cristù”. Ma anche nei centri in cui il canto è attestato c’è stata una lunga fase, dalla metà degli anni ’60 ai primi anni ’80, in cui esso non è stato più eseguito, per essere poi ricostruito e riproposto negli anni successivi. Il percorso di tale ripresa, che, grazie al lavoro della Officina del Teatro, si può documentare per il piccolo ma importante centro di Zollino, credo possa valere per l’intera area griko-salentina.

Le incalzanti sequenze narrative del canto si  presentano, da centro a centro, in maniera diversa e spesso incoerente nell’una e nell’altra versione delle sette che ho esaminato (quelle di Zollino, Corigliano (2), Martano (2), Sternatia e Martignano), e questo mi ha spinto alcuni anni fa ad un lavoro di verifica critica dei testi che ho confrontato con i nuclei narrativi dei quattro vangeli canonici, che sono le fonti privilegiate del canto, così come filtrati attraverso la sensibilità e la visione del popolo, con uno sguardo anche agli apocrifi che sviluppano il planctus della Vergine e la discesa di Cristo nel Limbo, come gli Atti di Pilato e il Vangelo di Gamaliele.

In chiesa

Detti nuclei narrativi sono sostanzialmente i seguenti:

  1. Il tema del saluto agli astanti e/o ai destinatari e l’invito ad ascoltare il racconto;
  2. La cattura di Gesù e il successivo processo;
  3. Il tradimento di Pietro;
  4. L’accanimento degli ebrei, le false accuse e la condanna;
  5. La Madonna nel ruolo della Mater Dolorosa;
  6. La tortura del Cristo e la crocifissione;
  7. La morte e lo sconvolgimento del mondo;
  8. La resurrezione e la professione di fede;
  9. La questua rituale e il richiamo a san Lazzaro;

Di tutta evidenza è, nel canto, il tema della Madonna che, sostanzialmente assente nel racconto della passione di Cristo dei vangeli canonici, dove compare solo nel vangelo di Giovanni (19,25), assume invece nelle espressioni della religiosità popolare un ruolo assolutamente rilevante e ricco di pathos. Un tema centrale quello del dolore della madre, che va alla ricerca del figlio (bellissima l’immagine della “túrtura scumpagnata”); tema che è preparato dal racconto dell’annunciazione del bambino divino, cui si contrappone, con improvviso scarto narrativo, l’entrata nel vivo della passione, con le scene del tradimento di Giuda e della cattura di Gesù. Il dolore straziante della Madonna è paradigma della sofferenza di tutte le madri, in epoche in cui la morte arrivava inspiegabile, misteriosa, avvertita come insondabile decisione di Dio e in cui molto spesso i figli premorivano alle madri. Ma, ci sono anche altri temi, come l’accusa a Cristo di essere un mago e di fare macaríe, la discesa di Gesù nel Limbo (poi diventata dogma) e la liberazione dei Patriarchi che salgono col Cristo trionfante in Paradiso.

Dalla verifica testuale è venuta fuori una “Passione” di 61 strofe, che assume come testo base quello della versione di Zollino, di 45 strofe, con l’integrazione di qualche passaggio narrativo in essa assente, ma documentato in molte versioni dell’area. La versione più lunga è una di Martano, che comprende ben 73 strofe, alcune invero poco comprensibili. Né va dimenticato che la Passione Grika, come tanti materiali di tradizione orale era un canto in continuo divenire, arricchito, emendato e adattato non solo dal personale intervento dei cantori, ma anche in base ad eventi che potevano interessare la comunità. (1)

Asteria di Sternatia con Giorgio Vincenzo Filieri

Un tentativo di modernizzare il testo e l’evento, che a me è piaciuto molto, è stata la produzione, avvenuta nel 2009, del video “Passiuna –Opera rock”, di Palmiro Lifonso, figlio, tra l’altro, di Tommaso Lifonso, zollinese, uno dei più grandi cantori, scomparso nel 2007.

I Passiuna veniva eseguita al di fuori dei riti ufficiali della Chiesa, nel contesto delle masserie rurali e delle strade e piazze dei paesi, con il popolo che circondava i cantori, generalmente due, accompagnati da uno strumento (in tempi recenti una fisarmonica), e preceduti dal portatore della palma, cioè del ramo di ulivo, adornato da immagini di santi, nastrini colorati (le źźacareddhe) e arance (simbolo di fecondità). Elemento fondamentale della rappresentazione era la forte resa drammatica, che fondeva insieme testo, musica e gestualità dei cantori, che, accompagnando la narrazione con la mimica del volto, delle mani e del corpo, trasmettevano un forte pathos nell’animo degli astanti: come se, attraverso la gestualità con cui i cantori interloquivano con la folla dei fedeli, su di essi si rovesciasse il racconto, l’emotività, gli ammonimenti trasmessi dal canto rituale. Tale gestualità, ci scrive Rossana Carpentieri, era frutto della tradizione mimico-gestuale degli “Stompi”, ossia delle antiche scuole grike, depositarie delle modalità interpretative del canto. (2)

Ma non mancano tradizioni, come quella dei cantori di Corigliano raccolti intorno al Circolo Culturale “Argalìo”, che presentano la Passione in forma assolutamente statica, affidandone l’espressività esclusivamente al canto.

Il metro delle quartine è sostanzialmente il decasillabo, risultante da due quinari accoppiati, così come accade in testi presenti nei Laudari medievali, come il laudario di Cortona, il laudario urbinate e nello stesso Jacopone. Nel testo griko c’è la ricerca della rima, preferibilmente alternata, o almeno dell’assonanza, ma regolata spesso dalla casualità.

Di particolare rilievo è la resa fonico-espressiva del testo: a livello lessicale, come già evidenziato dal Morosi, la Passione è uno straordinario documento delle contaminazioni e dei reciproci imprestiti tra il griko e il dialetto salentino, così come le due lingue si sono andate modificando ed adattando, nel corso dei secoli, all’interno di comunità sostanzialmente bilingui.

Il carattere di esasperata drammaticità è l’anima stessa del canto griko, al cui centro vi è la rappresentazione della vicenda del Cristo come avvertita dal popolo. In un mondo senza giornali, né televisioni, senza scrittura né libri, le sacre rappresentazioni erano momenti straordinari di comunicazione di massa, di suggestione collettiva di rafforzamento della concezione del mondo e della storia, Va ricordato che questa cantata richiama forme antichissime di teatro sacro popolare, che, partendo dai Laudari e dalle “Laude” medievali, di cui il celeberrimo “Pianto della Madonna” di Jacopone è la più famosa rielaborazione letteraria, evolvono verso testi drammatizzati cantati a più voci, quindi verso le vere e proprie “sacre rappresentazioni” e il più complesso teatro sacro del ‘500.

Così come essa va collegata al fenomeno italiano del “Bruscello”, che ha avuto particolare diffusione nell’area della provincia di Siena, ma che è attestato ancora nell’800 in altre aree della Toscana (3): identica la simbologia che prevede la presenza, come emblema, del ramo di un albero (l’arboscello), di leccio in Toscana, di ulivo nel Salento, adornato di nastri, fiori, arance (nella Passione grika anche di sacre immagini); identiche le modalità interpretative del canto, con l’alternanza dei cantori e delle strofe, con l’accompagnamento di  strumenti popolari, con la disposizione a cerchio della folla, con la ricca gestualità se non con veri e propri passi di danza; identico il tema finale della questua e della raccolta dei doni; identico il periodo della rappresentazione, dalla fine del Carnevale alla settimana precedente la Pasqua. Né è casuale, ancora, il richiamo alla vicenda di Lazzaro presente nella Passione, avvertita anche come “figura” della resurrezione del Cristo.

Arakne-Mediterranea con Imma Giannuzzi

C’è chi ha parlato delle “Passioni”, per quanto riguarda l’Italia, come di eventi rituali da inserirsi nel “più ampio repertorio dei canti di questua connessi al ciclo dell’anno, diffusi in tutto il territorio italiano in un arco di tempo che va da gennaio a maggio,… nel periodo che dal pieno inverno conduce alla primavera: un periodo notturno e misterico… Nelle antiche civiltà agricole del Mediterraneo e poi per tutto il Medio Evo, tra l’inverno e la primavera si svolgevano  cerimonie propiziatrici del benessere agricolo e le forme cultuali erano fortemente caratterizzate da un simbolismo legato al culto dei morti, al loro ritorno controllato sulla terra, al tema della passione, morte e resurrezione di una divinità”. (4)

Altrettanto puntuale appare il collegamento con un lungo canto strofico diffuso nell’Italia centrale, noto come “Orologio della Passione”, eseguito anche qui da una coppia di cantori accompagnati dalla fisarmonica o dall’organetto, e forse ancora di più con i canti pasquali delle comunità di lingua e cultura albanese della Calabria centro-settentrionale, le Kalimere di Lazzaro, canti di questua del periodo di Quaresima, “portati di casa in casa il giovedì precedente la domenica delle Palme;…Il testo racconta la storia della resurrezione di Lazzaro e contiene la benedizione di Pasqua e la consueta richiesta di doni alimentari”. (5) Il titolo Kalimere dato a questi canti è un preciso rimando alla Passione Grika, perchè anch’essi si aprono col saluto del buongiorno agli astanti e con l’annuncio del sacro racconto.

Fortemente espressionistico, crudo, senza mediazioni lessicali, il testo de I Passiuna oscilla sempre tra sentimenti estremi, il senso del peccato e delle colpe degli uomini, la crudeltà degli ebrei, la sofferenza del Cristo e della madre, il senso di catastrofe che si rovescia sull’intero universo, e poi la gioia collettiva e liberatoria della resurrezione che investe l’intera comunità e che viene avvertita come ordine ristabilito tra umano e divino: una gioia che scatta improvvisa due volte, in entrambi i casi segnata dalla stessa parola d’ordine “allergamente”, la prima volta quando Pietro si pente del suo tradimento (strofa 17), la seconda, quando si introduce il racconto della resurrezione dopo lo sconvolgimento dell’universo che accompagna la morte di Cristo (strofa 50), seguito dal tema della lode e della questua.

Emerge da queste considerazioni un’altra riflessione: l’assoluta centralità della Pasqua, del passaggio, della resurrezione per tutta la teologia cristiana. Oggi, nella nostra civiltà consumistica, il Natale è forse festa più attesa, più avvertita, più significante; la Passione Grika, invece, ci rimanda ad epoche in cui si era consapevoli, grazie forse a linee di continuità rituali risalenti anche a civiltà pre-cristiane, della centralità e della essenzialità per la vita e per la storia degli uomini di quell’eterna ciclica vicenda di un qualche dio che, per dare continuità alla vita, ogni anno muore e rinasce.

Note:

  • Si legga su questo aspetto: S. TORSELLO, Introduzione a Canti di Passione, cit., pp. 7-12. Di particolare valenza antropologica mi pare la sottolineatura, che Torsello riprende da C. LAPUCCI, La bibbia dei poveri. Storia popolare del mondo, Vallardi, 1995, che mentre “le rappresentazioni artistiche della crocifissione tendono a rappresentarla come dramma umano dominato dal divino, narrazioni e figurazioni dei testi popolari invece lo sentono prevalentemente come sconvolgimento cosmico…”
  • la testimonianza contenuta in: L. CHIRIATTI, La Passione: I passiuna tu Cristù e Lu Santu Lazzaru, in Canti di Passione, cit., p. 27, Ediz. Kurumuny, Copertino, 2007, p. 27.
  • Si rimanda a B. MONTINARO, Un bruscello salentino, estratto da Salento povero, A. Longo edit., Ravenna 1976, in: “I Passiuna tu Christù”, Edizioni Aramirè Lecce e L.Chiriatti, 2000, pp. 10-26
  • RICCI-R. TUCCI, I cammini delle “passioni” di Pasqua, in: Canti di Passione, cit., pp. 13-14.
  • ivi, p.18.
  • la testimonianza contenuta in: L. CHIRIATTI, La Passione: I passiùna tu Cristù e Lu Santu Lazzaru, in Canti di Passione, cit., p. 27.