Iracconti della Vadea

 

FIDO, IL CANE LUPO

Chicco stringeva nel pugno della mano sinistra, infilata nella tasca dei pantaloni, quelle poche lire, ricevute in regalo da sua madre.

Ripercorse velocemente, a ritroso, il vialone di campagna, per ritornare in paese.

Fido lo accompagnò fin su la strada asfaltata, abbaiando e saltellando; ma si fermò al limite e lo seguì con lo sguardo, scodinzolando lentamente la coda in segno di composta, sconsolata rassegnazione.

Sapeva che non poteva oltrepassare quella strada.

Non lo fece mai, nemmeno quando, per vendicarsi della colazione rubata, ingaggiava, fra i filari delle vigne, lunghe corse sfrenate con un dispettosissimo gatto della casa colonica vicina.

O quando procedevano entrambi a zig zag fra le piantine di tabacco appena impiantate, dissotterrandone e spezzandone molte e provocando inevitabilmente le ire scomposte, accese e colorite del padre di Chicco, accompagnate da tali e tante castime, che, se si fossero trasformate per incanto in paddrhotte lanciate in aria, tanto erano veloci e pesanti, sicuramente avrebbero seppellito entrambi.

Il gatto, tanto agile quanto scaltro, per salvarsi dagli incisivi acuminati di un cane arrabbiato, affamato e… ccu la doja d’arma (languorino, dolore di stomaco provocato dalla fame), era costretto ad oltrepassare la strada, schizzando veloce fra le auto in transito col rischio di rimanere investito.

O era costretto ad arrampicarsi velocemente su un ingombrante albero di gelso con i suoi frondosi e fitti rami pendenti, dove rimaneva immobile e silenzioso, ben nascosto fra le foglie, mentre un nugolo di “ciole”(gazze) gracchianti schizzavano in cielo spaventate e contrariate per essere state costrette ad interrompere il loro pranzo prediletto a base di succosi e saporiti “cezzhi mori” ( una pregiata varietà di gelsi grossi, carnosi e di colore scuro).

Aspettava, paziente e sornione, che Fido, accovacciato ai piedi del tronco dell’albero nodoso e possente, sbollisse la rabbia e se ne ritornasse a casa rassegnato, umiliato e… con la coda fra le gambe.

Non lo fece mai, perché, oltre che essere un cane meraviglioso, intelligente ed affettuoso, era anche molto ubbidiente.

La sua ubbidienza, la sua equilibrata prudenza e la sua docile disponibilità gli evitò, quasi sempre, l’onta della catena; non era necessario tenerlo legato, perché non faceva male a nessuno e si limitava a bloccare, all’ingresso del viale, le persone estranee, abbaiando e ringhiando in modo innocuamente minaccioso.

E lì le teneva a bada, fino a quando qualcuno di casa non lo rassicurava e lo faceva allontanare.

Molto raramente veniva legato ad una lunga catena, fissata in modo strategico al muro della ramesa: accadeva pochissime volte, specialmente quando a casa non rimaneva nessuno.

Ma quando accadeva, lui ne soffriva e lo dimostrava rintanandosi nella sua cuccia, guaendo sommessamente e visibilmente offeso per l’affronto ricevuto.

Fido purtroppo non capiva che la prudenza imponeva tali soluzioni: per evitare sopratutto che qualche sprovveduto, entrando abusivamente nel fondo, lo facesse innervosire oltremodo con le inevitabili, pericolosissime conseguenze.

Quando morì (di vecchiaia) lasciò un vuoto che nessun altro cane riuscì mai a colmare.

Fu sepolto dietro la casa colonica in una zona d’ombra, vicino ad un antico  rosaio, che, con l’alternarsi del suo ciclo vitale, sembrava essere il punto d’incontro della gioia e del dolore, del giorno e della notte e, inesorabilmente, della vita e della morte.

Così volle la madre di Chicco, la quale ne soffrì più di tutti, perché Fido era stato per tanti, lunghissimi anni la sua fedele e immancabile compagnia, la sua sicurezza, la sua protezione specialmente durante le lunghe, solitarie, interminabili sere d’inverno, in attesa che suo marito rientrasse dal paese.

Lo ricorda accovacciato, fiero, silenzioso e paziente col suo pelo ruvido, color marrone chiaro, ravvivato ancor di più dal bagliore intermittente del braciere, che sua madre aveva cura di riattizzare di tanto in tanto, smuovendo i carboni  ancora accesi sotto la cenere (la cinisa), mentre sferruzzava con paziente monotonia su una interminabile e ruvida maglia di lana.

Lì rimaneva, immobile come un monumento, col suo muso umido e lucente adagiato sulle zampe anteriori, con gli occhi intelligenti semichiusi e le orecchie perfettamente ritte e parallele, mobilissime ad ogni pur lievissimo rumore, anche il più impercettibile.

O per quello procurato da un topolino di passaggio durante una sua fugace e solitaria esplorazione notturna, o per il frusciare di foglie secche, che turbinavano, rincorrendosi e giocando a rimpiattino col vento, sul piazzale  esterno antistante la porta della cucina.

O quando, improvvisamente, girava di scatto la testa verso la porta d’ingresso e vi si avvicinava annusando e mugolando, mentre la coda dondolava più velocemente del solito: il  padre di Chicco percorreva già il vialone, per tornare a casa.

E  il fiuto di Fido non sbagliava mai, come sempre.

Dopo aver ricevuto una gratificante carezza sulla testa, silenziosamente usciva dalla cucina e andava a sdraiarsi sulla sua cuccia, riposta nell’angolo più riparato  e silenzioso della ramesa.

Lì, forse, nel suo piccolo e indecifrabile mondo misterioso riallacciava i suoi sogni della notte pre- cedente, interrotti, all’alba, dal canto del gallo, che con un imperioso batter d’ali chiamava a raccolta le galline ancora intorpidite dal sonno mattutino.

Chissà se anche gli altri cani sognano!

Fido, certamente, si.

Forse ripassava sullo schermo della sua mente la carezza appena ricevuta, o lo sguardo dolce e rassicurante, pieno di riconoscenza e di gratitudine, della madre di Chicco, o forse meditava la rivincita sul gatto dispettoso che lo aveva così impunemente umiliato.

O forse sognava le lunghe corse interminabili, lungo tutto il vialone di campagna, che ingaggiava con Chicco e i suoi cugini, che correvano a piedi nudi e con un eterno, incancellabile sorriso sulle labbra.

I segreti della loro allegria erano certamente la gioia del poco, del niente, l’ebbrezza della giovinezza, l’estremo candore dei sentimenti che rendeva tutti (Fido compreso) oltremodo spensierati e sereni.

Era questa la loro unica droga, la loro unica, sana, conciliante evasione !

Loro ridevano, mentre Fido ricambiava, abbaiando e saltellando agile, vivace, elegante, instancabile, come se fosse appagato per la loro irrefrenabile gioia di vivere.

Peccato che non poteva raccontare a nessuno i suoi sogni!