L’Italia post-fascismo

Uno sproporzionato ‘occhio per occhio, dente per dente’

Note storiche sull’Italia del post-fascismo

A guerra conclusa alcuni partigiani si lasciarono andare ad aggressioni

brutali nei confronti di cittadini che avevano sposato gli ideali fascisti

di Pierlorenzo Diso

  1. Premessa. La Storia – come è noto – viene scritta dai vincitori, i quali, però, spesso lasciano punti oscuri e zone d’ombra che vengono rischiarate da successive ricerche e acquisizioni.

      Tutto ciò non ha nulla a che vedere col cosiddetto revisionismo, bensì è il frutto della tendenza insita nella ricerca storica a progredire raggiungendo un grado sempre più elevato di consapevolezza della verità dei fatti.

      Tanto premesso sul piano metodologico,  il presente contributo  ha come oggetto il secondo dopoguerra in Italia,  periodo caratterizzato da un clima di fortissima contrapposizione tra opposte fazioni politiche, espressione di una popolazione duramente provata dalle sofferenze e privazioni patite durante il conflitto[1].

      In particolare,  ci si soffermerà – sia pur sinteticamente – su alcune situazioni tipiche in cui si trovarono loro malgrado coinvolti  al termine del secondo conflitto mondiale, convenzionalmente fissato al 25 aprile 1945, quanti avevano militato dalla parte dei vinti[2],  nella convinzione che l’auspicabile riconciliazione e pacificazione degli animi non possa comunque prescindere dalla piena ricostruzione della verità storica.

  1. Eccidi e massacri. Mentre l’Italia meridionale e insulare era sotto il controllo degli alleati già dall’autunno del 1943 e l’Italia centrale era stata liberata dall’occupazione tedesca nel corso della primavera-estate del 1944, nelle zone dell’Italia Settentrionale poste al di sopra della ‘linea gotica’, al crollo del regime fascista repubblichino che fino ad allora aveva garantito almeno un minimo di governabilità – sia pure in sinergia con le forze di occupazione  tedesche -, si creava un parziale vuoto di potere e iniziavano le rappresaglie e le vendette dei vincitori a danno dei vinti, senza che nessuno fosse in grado di interporsi efficacemente per evitare il degenerare della situazione.

Villa Torlonia, residenza di Mussolini

Fu così che vennero perpetrati eccidi e massacri ai danni dei fascisti sconfitti che avevano militato nella ormai disciolta ‘Repubblica Sociale Italiana’ (meglio nota come ‘Repubblica di Salò’ per via di alcuni ministeri posti in quella cittadina del Lago di Garda)[3] e che erano ritenuti a loro volta responsabili di eccessi ed efferatezze nella repressione della lotta partigiana[4].

      Si trattò di azioni per lo più condotte fuori della legalità e dettate da spirito di vendetta dopo che il 29 aprile 1945 nella Reggia di Caserta, dove era insediato il quartier generale delle forze alleate in Italia, le forze tedesche e fasciste avevano firmato la resa incondizionata, operativa dal 2 maggio 1945.

      Vanno ricordati, tra i tanti, l’eccidio di Schio, nonché la strage della cartiera di Mignagola.

      Particolarmente efferata fu la vendetta scatenata contro le donne di fede fascista che avevano militato nel SAF (Servizio Ausiliario Femminile), molte delle quali vennero rapate a zero ed esposte al pubblico ludibrio.

      Al vaglio della ricerca storiografica va affidato il calvario della tredicenne savonese Giuseppina Ghersi, sottoposta a violenze fisiche e brutalmente assassinata per motivi politici.

      Il 22 aprile 1945, giorno successivo alla liberazione di Bologna, perse la vita in un agguato presso la tenuta di Malacappa (vicino Argelato)  il noto gerarca Leandro Arpinati, a lungo presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, a cui si deve,  nella stagione 1929-30, il varo del primo campionato italiano di serie A a girone unico[5].

Leandro Arpinati

      Numerose ed efferate furono anche le violenze occorse nel cosiddetto ‘triangolo della morte’ in Emilia Romagna dove vennero presi di mira non soltanto gli esponenti del deposto regime fascista,  ma anche famiglie della locale nobiltà e religiosi come il giovane seminarista Rolando Rivi, brutalmente assassinato in odium fidei e dichiarato beato il 5 ottobre 2013 nel corso di una cerimonia tenutasi davanti a migliaia di persone riunite nel palazzetto dello sport di Modena[6].

Il seminarsita Rolando Rivi

      Le violenze cessarono solo verso il 1949[7], mentre ai colpevoli in certi casi si permisero comode vie di fuga in paesi dell’Europa orientale governati da regimi comunisti.

  1. Prigionia. Diverso fu il destino di altre migliaia di fascisti repubblichini catturati dopo il 25 aprile 1945 dalle forze alleate in sinergia con quelle partigiane e reclusi in campi di prigionia appositamente realizzati dalle forze di occupazione statunitensi.

      Tra questi campi di prigionia va menzionato quello di Coltano[8],  nei pressi di Pisa, dove le condizioni di detenzione erano particolarmente dure, con esposizione alle intemperie invernali e alle elevate temperature  estive, vitto spesso insufficiente e, in alcuni casi, anche utilizzo di mezzi di tortura come la ‘fossa del fachiro’ alla quale venne sottoposto il noto poeta Ezra Pound, reo di aver criticato il sistema politico-economico del suo paese di origine, gli Stati Uniti d’America, venendo, quindi, considerato dal governo americano alla stregua di un traditore.

     A questo calvario pose fine la cd. ‘amnistia Togliatti’ intervenuta nel giugno del 1946[9], all’indomani del referendum Monarchia/Repubblica, per cui i prigionieri politici fascisti vennero liberati nel settembre dello stesso anno e poterono, sia pure duramente provati, tornare alla ordinaria vita civile.

      Su queste vicende, per conformismo e opportunismo politico, calò una fitta coltre di silenzio che riguardava anche notissimi personaggi dello sport e dello spettacolo che, dopo aver militato nella Repubblica Sociale Italiana, scontarono un duro periodo di prigionia sul quale preferirono tacere, essendosi ormai bene inseriti negli ambiti lavorativi dell’Italia repubblicana.

  1. Espatri. Diversi furono i fascisti che all’indomani del crollo del regime espatriarono, trasferendosi, spesso in via definitiva, in paesi dell’Europa (Spagna e Portogallo) o del Sudamerica (Argentina e Brasile), dove una solida rete di appoggi e aderenze coi locali regimi provvedeva a inserirli nella realtà socio–economica di quei paesi, garantendo loro quella relativa tranquillità che in Italia non avrebbero più potuto avere per via dei loro trascorsi fascisti e, quindi, del timore di vendette private.
  2. Epurazioni e avocazioni. Per effetto del D. Lgs. Lgt. 27 luglio 1944 n° 159 – Sanzioni contro il fascismo, le pubbliche amministrazioni civili e militari, nonché gli enti locali, vennero epurati dai militanti fascisti che avevano prestato servizio, mentre era prevista l’avocazione allo stato dei cd. ‘profitti di regime’, che si presumeva fossero derivati dalla partecipazione o adesione al regime fascista.

      Villa Torlonia, l’abitazione romana di Mussolini, posta su via Nomentana, rimase a lungo abbandonata e disabitata prima di essere acquistata nel 1978 dal comune di Roma e trasformata in un parco pubblico.

  1. Divieto di ricostituzione. La XII disposizione finale della Costituzione italiana vietò la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Le forze che si richiamavano a quella tradizione politica si organizzarono nel Movimento Sociale Italiano che accettò, comunque, di confrontarsi con le regole dello stato democratico, traendo, in definitiva, la sua legittimazione dal consenso popolare liberamente espresso in regolari elezioni politiche.

Arpad Weisz

Priva di fondamento si appalesa, dunque, l’espressione del gergo politico ‘arco costituzionale’, laddove correttamente si deve, invece, parlare di ‘arco parlamentare’, posto che la sovranità, nel nostro ordinamento, appartiene al popolo proprio in virtù dell’art. 1 della Costituzione repubblicana.

  1. Conclusioni. In conclusione, dal quadro sinteticamente tratteggiato emerge che la transizione dal fascismo all’Italia repubblicana non fu né breve, né indolore: gli esponenti del cessato regime fascista, dai vertici alla base, pagarono duramente la scelta rivelatasi sciagurata di scendere in campo nel secondo conflitto mondiale con la perdita, a seconda dei casi, della vita, della libertà, dei beni; non pochi, però, furono quelli, soprattutto nell’Italia meridionale – che non aveva conosciuto le asprezze della guerra civile divampata al Nord -, che riuscirono a transitare indenni dal regime monarchico-fascista al nuovo assetto statale democratico-repubblicano senza subire, in sostanza, alcuna rilevante perdita morale o materiale.

      Vi furono anche numerosi casi di trasformismo politico militante con intellettuali di fede fascista passati al più rosso e sfacciato sinistrismo, giustamente etichettati come ‘intellettuali sotto due bandiere’[10].

      Una certa lungimiranza del nuovo ceto politico dominante garantì il mantenimento di quelle strutture dello stato sociale (INPS, INAIL etc.) create dal fascismo che continuarono, e continuano, ad operare nell’Italia post-fascista democratica e repubblicana.

      Restavano in piedi anche realizzazioni del deposto regime quali i quattro codici – Codice Civile, Codice Penale, Codice di Procedura Civile (tutti e tre ancora in vigore, sia pure con modifiche e integrazioni) e Codice di Procedura Penale (quest’ultimo sostituito nel 1989 dal cd. ‘Codice Vassalli’), nonché il Codice della Navigazione -, e le città di fondazione (Latina, Guidonia, Sabaudia etc.) a testimoniare che il legame del regime fascista con l’antichità classica non era stato qualcosa di meramente esteriore e superficiale, bensì un elemento costitutivo di quella esperienza politica.

       La stagione delle violente contrapposizioni tra opposte fazioni politiche ebbe un rigurgito negli anni ’70 del secolo scorso con il fenomeno del terrorismo nero e rosso, ma la democrazia rappresentativa sorta sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale dimostrò di avere gli anticorpi necessari per ricondurre la lotta politica nei giusti binari della dialettica e del doveroso rispetto tra differenti opinioni politiche.

[1] La Seconda Guerra Mondiale ebbe inizio il 1° settembre 1939 con l’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste.

[2] In argomento cfr. G. Pansa, Il sangue dei vinti, Milano, 2003, nonché le successive pubblicazioni in materia dello stesso autore.

[3] La Repubblica Sociale Italiana, proclamata il 18 settembre 1943 attraverso Radio Monaco, venne costituita il 23 settembre 1943 presso l’ambasciata tedesca a Roma come “Stato Fascista Repubblicano d’Italia” (Fonte: Wikipedia).

[4] Nella repressione della lotta partigiana si distinsero per i metodi brutali e le efferatezze commesse il Reparto dei Servizi Speciali di Firenze, poi rinominato Ufficio di Polizia Investigativa, formalmente dipendente dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, meglio noto come ‘banda Carità’ dal nome del fondatore Mario Carità e la cd. ‘banda Koch’ capeggiata dal ten. Pietro Koch, attiva a Roma e Milano (Fonte: Wikipedia).

[5] Il campionato di calcio di serie A 1929-30 fu vinto dall’Ambrosiana-Inter allenata dal tecnico ungherese Arpad Weisz precursore dei moderni metodi di allenamento basati, oltre che sui dettami tecnico-tattici, anche sugli aspetti motivazionali e fisico-atletici. Il tecnico, dopo varie peripezie per sottrarsi alla persecuzione contro le persone di origine ebraica, troverà la morte con la sua famiglia nel campo di sterminio di Auschwitz in Polonia nel 1944.

[6] Fonte: Wikipedia.

[7] Famigerata per brutalità ed efferatezza fu l’organizzazione paramilitare denominata ‘Volante Rossa’, composta da partigiani comunisti ed attiva a Milano e dintorni fino al febbraio 1949 (Fonte: Wikipedia).

[8] In argomento, cfr. P. Ciabattini, Coltano 1945. Un campo di concentramento dimenticato, Milano 1995.

[9] Decreto Presidenziale 26 giugno 1946, n. 4.  Amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari.

[10] In argomento, cfr. N. Tripodi, Intellettuali sotto due bandiere, Napoli, 1981.